Nella Londra di un futuro imprecisato, il film narra le avventure di Alex DeLarge i cui principali interessi sono il sesso, l'ultraviolenza e Beethoven.
Nella Londra di un futuro imprecisato, il film narra le avventure di Alex DeLarge i cui principali interessi sono il sesso, l'ultraviolenza e Beethoven.
Fra i molti pregi di Stanley Kubrick vi è quello di aver attraversato con pochi film tutti, o quasi, i generi cinematografici mantenendo saldo un discorso autoriale e filosofico solido e complesso. Questo discorso ha essenzialmente due poli tematici: le infinite possibilità dell'essere umano, nel bene e nel male, e la sua possibilità di scelta. Basti pensare al militare dubbioso di Orizzonti di gloria (1957), dei soldati Palla di Lardo e Joker in Full metal jacket (1987) o del monolite alieno che guida l'umanità verso il progresso in 2001: Odissea nello spazio (1968). Proprio quest'ultimo è il film che precede e in risposta al quale viene pensato Arancia meccanica: dall'immagine placida del feto astrale che chiude il primo, allo sguardo sadico di Alex DeLarge che apre il secondo.
È un film che, come il precedente, trabocca innanzitutto di musica. Classica, certo: la Nona sinfonia di Beethoven, ironicamente un inno alla grandezza dell'animo umano, è la coprotagonista. Ma anche la musica elettronica, composta da Walter Carlos, che ci riporta all'ambientazione distopica e futurista. Oltre all'orecchio, è l'occhio l'altro organo sensoriale più coinvolto nel film: le scenografie di John Barry (Guerre stellari, 1978; Superman, 1979) e i complessi costumi della pluripremiata Milena Canonero (che per Kubrick lavorerà anche a Barry Lyndon nel 1975 e a Shining cinque anni dopo) sono praticamente entrati nell'immaginario comune. Alle atmosfere colorate e fantasiose in stile swinging London si accostano, nel tetro Korova Milk Bar, alle tute bianche dei Drughi, a metà tra divise autoritarie e costumi da supereroi, che rimandano sia alla purezza che al colore dei cadaveri e della morte.
La doppia metafora del colore bianco è ripresa anche nel latte, che solitamente viene rimandato al concetto di maternità e innocenza, ma nel film viene completamente stravolto in quanto, nel Latte+, vengono mescolate droghe sintetiche che permettono ai Drughi di ampliare la loro brama di violenza.
Sempre a proposito del comparto visivo, sarebbe quasi superfluo commentare la regia di Kubrick: evitando quindi di accennare alla famosa quanto troppo abusata (dai critici) simmetria, si sottolineano piuttosto altri momenti significativi: il carrello iniziale che, retrocedendo, esplora il Korova Milk Bar mantenendo al centro Alex; i giochi iperbolici con la durata, rallentando la sequenza del pestaggio dei Drughi e velocizzando il threesome di Alex; il celebre grandangolo con tanto di plongée/contre-plongée del fallo scultoreo che uccide la donna.
Una nota anche per il montaggio di Bill Butler (Buona sera, Mrs. Campbell, 1968), che nella sequenza del sogno di Alex fa una sorta di parodia del montaggio analogico, a passo di Nona sinfonia, mostrando scene tanto cruente quanto comiche.
La sceneggiatura, sempre di Kubrick, costituisce invece un adattamento dell'omonimo romanzo di Anthony Burgess (fatta eccezione per l'ultimo capitolo, che pare Kubrick non abbia semplicemente letto). Sia il libro che il film sono narrati in prima persona, attraverso il curioso slang del protagonista, inventato come mnemotecnica da Burgess durante un soggiorno in Urss e che dà un effetto straniante allo spettatore. Alla base della filosofia delle due opere, che riguardano, come detto sopra, il conflitto fra bene e male e la possibilità di scelta, sta proprio il titolo: “to be strange like a clockwork orange” è un'espressione cockney per indicare persone bizzarre il cui aspetto esteriore non corrisponde a quello interiore. Esattamente come Alex, costretto dal governo ad essere un buon cittadino ma di tutt'altra natura e arbitrio personale. Accusato dai più, all'epoca, di estetizzare la violenza e indurre a compierla, il film di Kubrick è in realtà una metafora ironica e (molto) cinica sul controllo delle coscienze umane e sulla volontà di potenza intesa come libero gioco fra volere e rifondazione della morale, secondo quella linea di pensiero che fa riferimento al filosofo più frainteso della storia e più amato dal cineasta: Friedrich Nietzsche.
La Cura Ludovico, alla quale viene sottoposto il giovane protagonista, è basata su un esperimento realmente effettuato da Ivan Pavlov, basato su teorie comportamentiste in voga nei primi decenni del Novecento. L'esperimento di Pavlov, al tempo effettuato su animali, aveva il compito di correggere comportamenti ritenuti sbagliati con un rinforzo negativo e incentivare comportamenti corretti con rinforzi positivi. Nel momento in cui Alex entra in clinica, si cerca di correggere il suo comportamento violento e disturbato tramite dolore fisico e nausea, tramite quindi un rinforzo negativo.
Il contesto storico e sociale è parte integrante dell'opera, il film non si limita a portare una velata critica alla società di quegli anni, ma analizza la differenza tra la natura dell'uomo, violenta e irrefrenabile, e le istituzioni; differenza che porta inevitabilmente a conflitti, tantoché a quell'epoca vediamo le idee di libertà e pace portate avanti dalle nuove generazioni contrapporsi all'ondata di violenza portata dalla Guerra del Vietnam.
L'elemento pop è ricorrente nelle ambientazioni del film, a partire dalle opere illustrate nella camera di Alex, sotto casa sua e nella stanza dove avviene l'omicidio della signora che viveva con i gatti, fino a passare all'estetica dei personaggi, caratterizzati da colori cangianti e spesso in tinta con gli interni. Il corpo della donna viene spesso ridotto a un mero oggetto, sia per una questione di focalizzazione dell'interesse del pubblico, sia per una critica alla società del tempo, che utilizza spesso la donna come mero scopo pubblicitario.
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