Il detective Hercule Poirot, in trasferta nell'Egitto dell'archeologia, si trova a risolvere un torbido caso di omicidio.
Il detective Hercule Poirot, in trasferta nell'Egitto dell'archeologia, si trova a risolvere un torbido caso di omicidio.
Poirot sul Nilo è fra i più celebri romanzi dedicati al detective belga ideato dalla scrittrice Agatha Christie. Vi si trovano infatti tutti gli elementi più caratteristici del giallo ad enigma di cui l'autrice britannica è stata promotrice e massima esponente: l'investigatore, in una situazione di socialità solo apparentemente caotica e casuale, ricostruisce a ritroso la catena di eventi che hanno portato all'omicidio con il solo ausilio di limitati elementi presenti in un'ambientazione circoscritta. Il cosiddetto problema della «stanza chiusa», introdotto in letteratura da Edgar Allan Poe e perfezionato da Arthur Conan Doyle, è qui impreziosito dalla location esotica e dall'abilità di Christie di contrapporre ai vizi, alle passioni e alle debolezze segrete della società altolocata il calcolo freddo e indagatore di Poirot. La trama era già stata portata sullo schermo nel 1978, con la riuscita e scoppiettante versione di John Guillermin che contava, oltre a Peter Ustinov nell'istrionico ruolo del protagonista, interpreti del calibro di David Nieven, Mia Farrow, Bette Davis, Maggie Smith e Angela Landsbury. La portata dell'opera di Christie rispetto alla narrativa anglofona e mondiale è inestimabile: è quindi facile immaginarne l'attrattiva per Kenneth Branagh, cineasta di formazione teatrale che nel corso della carriera ha attraversato gli adattamenti dei maggiori classici inglesi, da William Shakespeare a Mary Shelley (suo è il particolare Frankenstein del 1994, con Robert de Niro nel ruolo del mostro), passando pure per il personaggio di J.K. Rowling Gilderoy Allock (Harry Potter e la camera dei segreti, 2002). Nel precedente Assassinio sull'Orient Express del 2017, sempre da lui diretto e interpretato, Branagh aveva fornito una versione personale, più introspettiva e complessa, del personaggio di Poirot, per un prodotto il cui risultato finale, seppur non esaltante e decisamente più cupo rispetto al modello originale, risultava più che discreto.
Con questo secondo adattamento, che sembra lasciar presupporre un'intera saga dedicata alla Christie, Branagh si prende numerose e non sempre efficaci libertà: più che un giallo, il suo è un melodramma di impianto quasi teatrale che ha come tema originale e portante la forza dell'amore, il suo rapporto con il lutto e la morte e le conseguenze estreme cui le passioni possono portare. C'è chi ha notato come vi sia più Shakespeare che Christie, in una sceneggiatura che tuttavia non ha la qualità di scrittura di nessuno dei due. Lo svolgimento risulta infatti farraginoso, eccessivamente dilatato nei tempi e forzato. Dei tanti cambiamenti apportati, il flashback sul passato di Poirot aggiunge certo umanità ad un personaggio altrimenti già visto, ma non viene sviluppato a dovere e si risolve in un banale pretesto per un finale pilotato ed eccessivamente sentimentale. Troppe sono le licenze storiche e di costume, a partire dalla disinvolta varietà etnica, piuttosto improbabile per l'ambientazione, e dalla riscrittura del personaggio di Salome, nell'originale una sorta di divertita autoparodia di Agatha Christie stessa. La stessa sotto-trama che vede la signora Bowers e la ricca Marie Van Schuyler amanti in incognito, per quanto inserita ai fini del discorso generale sulla forza dei sentimenti, snatura quelle che in origine erano fulminanti ritratti sociali di una borghesia benestante sotto la cui eleganza si celavano controversie e fragilità, in un contesto mondano che di lì a poco sarebbe stato sconvolto dall'avvento della Seconda Guerra Mondiale.
Quanto ai dialoghi, privi dell'umorismo delle recedenti versioni, risultano scontati e banali, così come la caratterizzazione dei personaggi.
Non concorrono certo alla resa dei comprimari le interpretazioni, affidate a un cast meno rilevante non solo rispetto al film del 1978, ma anche in confronto al precedente adattamento di Branagh che poteva almeno contare su nomi quali Angelina Jolie, Jonny Depp e Willem Defoe. A salvarsi, grazie alla propria indiscussa presenza scenica, è giusto lo stesso Branagh, che confrontandosi con un personaggio iconico si assume il coraggio di riscriverlo in modo personale. Come in Assassinio sull'Orient Express, le musiche di Patrick Doyle non colgono nel segno e risultano trascurabili, mentre la fotografia di Haris Zambarloukos (collaboratore di Branagh dai tempi dell'eccellente Sleuth – Gli insospettabili, 2007) appare paradossalmente mediocre in relazione alle ambientazioni potenzialmente interessanti. Fra le note di location, inoltre, gli affezionati alla prima versione cinematografica non possono non lamentare come l'iconico crollo del masso, originariamente ambientato a Luxor, sia stato trasferito al forse più popolare (ma più improbabile per le tempistiche di crociera sul Nilo) Tempio Maggiore di Abu Simbel.
A risollevare parzialmente il film è la regia di Branagh, sempre elegante e non esente da inquadrature e punti di posizionamento della macchina da presa particolari, ma stavoltameno ispirata. Mancano infatti la capacità di messa in scena dei singoli attori, la magnificenza scenografica degli esterni e le trovate sceniche della precedente prova del regista: si sente la mancanza di soluzioni quali l'inquadratura dall'alto della scena del crimine quasi fosse una plancia di Cluedo, fra le più riuscite di Assassinio sull'Orient Express. Sempre ottimi invece i costumi del premio Oscar Alexandra Byrne.
Assassinio sul Nilo sembra risentire in ogni momento dell'imbarazzo di confrontarsi con una storia troppo nota, e già perfettamente adattata, per potersi avvalere di inserimenti originali. Il tentativo di Branagh stavolta non fallisce per il fatto di essere un remake, in quanto lo stesso principio della macchina narrativa prevede la riscrittura ripetuta e aggiornata degli stessi soggetti: l'errore, oltre che in una resa poco emozionante, risiede nel voler coniugare intenti, significati e contesti troppo distanti, finendo per scivolare in quel moralismo che i migliori giallo, proprio perché scavano negli anditi più turpi dell'essere umano, dovrebbero saper evitare.
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