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Kenneth Branagh

Belfast | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Belfast
Titolo Originale:
Belfast
Regia:
Kenneth Branagh
Uscita:
24 febbraio 2022
(prima: 12/11/2021)
Lingua Originale:
en
Durata:
97 minuti
Genere:
Dramma
Soggetto:
Sceneggiatura:
Kenneth Branagh
Fotografia:
Haris Zambarloukos
Montaggio:
Úna Ní Dhonghaíle
Scenografia:
Claire Nia Richards
Musica:
Van Morrison
Produzione:
Kenneth Branagh
Celia Duval
Tamar Thomas
Laura Berwick
Becca Kovacik
Produzione Esecutiva:
Casa di Produzione:
Northern Ireland Screen
TKBC
Focus Features
Budget:
$25 milioni
Botteghino:
$30 milioni
Carica Altro

Redazione

7

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Buddy
Jude Hill
Ma
Caitríona Balfe
Pa
Jamie Dornan
Granny
Judi Dench
Pop
Ciarán Hinds
Billy Clanton
Colin Morgan
Moira
Lara McDonnell
Will
Lewis McAskie
Mackie
Gerard Horan
Auntie Violet
Josie Walker
Catherine
Olive Tennant
Frankie West
Michael Maloney
Minister
Turlough Convery
McLaury
Conor MacNeill
Mr Stewart
Chris McCurry
Mrs Kavanagh
Elly Condron
Paddy Kavanagh
Samuel Menhinick
Miss Lewis
Vanessa Ifediora
Bobby Frank
Gerard McCarthy
Mr Singh
Sid Sagar

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Un bambino nella Belfast del conflitto nordirlandese cresce fra piccoli drammi familiari e la scoperta del cinema e del teatro.

Recensione:

Kenneth Branagh è un autore che, nel corso della sua carriera da regista, si è distinto principalmente per il confronto con i grandi classici della letteratura britannica, sia di prosa (Frankenstein di Mary Shelley, 1994; Assassinio sull'Orient Express, 2017; Assassinio sul Nilo, 2022) che di teatro (dagli adattamenti shakespeariani fino ad Harold Pinter con Sleuth - Gli insospettabili, 2007). Belfast, in modo più intimo e autoreferenziale, riporta invece lo spettatore all'infanzia dello stesso Branagh, affrontata attraverso un doppio binario di lettura. Da un lato, infatti, vi è la grande Storia del conflitto nordirlandese, della piccola e operosa città di Belfast sconvolta dalle barricate e dei lontani echi della musica rock globale. Dall'altro, prende le mosse la piccola storia autobiografica del giovane Buddy, alter-ego del regista che osserva con innocenza quanto gli accade attorno e scopre nel cinema e nel teatro il massimo mezzo di espressione artistica e fuga dalle difficoltà della vita quotidiana. Il film ha fra i suoi temi centrali quello della ricerca di un altrove, che sia geografico o artistico, e delle conseguenze che una partenza reca con sé: l'abbandono del paese natale come perdita dell'infanzia, il distaccamento, la nostalgia. In questo, è forse indiretto ma sicuramente necessario il confronto con opere più o meno recenti tese a tracciare l'autoritratto dell'artista da giovane e del suo contesto storico, da I 400 colpi (1959) di François Truffaut a Roma (2018) di Alfonso Cuarón passando per Amarcord (1973) di Federico Fellini. In pieno spirito britannico, la nostalgia si ammanta di umorismo e lo sguardo dell'infanzia passa sopra alla povertà e alla miseria dei tempi così come il protagonista di Jojo Rabbit (2019) di Taika Waititi si confrontava con il tema del Nazismo e delle persecuzioni.

Sono svariati quindi gli spunti di trama e di riflessione che emergono a livello di sceneggiatura e che, forse proprio per l'intento di suggerire memorie più che di spiegare un processo, non vengono del tutto sviluppati. Questa apparente carenza pesa soprattutto sulla descrizione di vari personaggi secondari così come sull'elaborazione dei conflitti narrativi: tuttavia, il risultato riesce a donare allo spettatore, attraverso rapide pennellate in bianco e nero, lo spirito del tempo e del protagonista. Ricorrenti semplificazioni e accelerazioni di trama potrebbero lasciare deluso lo spettatore più attento alla compattezza e alla struttura narrativa, ma restituiscono appieno l'intento di intima sincerità alla base del film.


La regia di Branagh a propria volta si rivela qui molto più spoglia che in altri casi: fatta eccezione per alcuni long-take a riprendere la vita quotidiana di Belfast, i movimenti e le posizioni della macchina da presa si attestano sullo stesso livello di semplicità di un diario personale.


Meno efficace risulta invece il montaggio di Úna Ní Dhonghaíle che, dopo un infelice inizio da cartolina con panoramiche poco significative della Belfast contemporanea, sembra risollevarsi con una transizione dal colore al bianco e nero che, scavalcando il muretto affrescato della città, porta direttamente la narrazione al 1969. Altrove, gli stacchi e le alternanze risultano a volte troppo rapidi. Lo stesso discorso vale per la fotografia di Haris Zambarloukos, collaboratore abituale di Branagh: troppo spesso le immagini, in un bianco e nero non certo indimenticabile, risultano sovraesposte senza una giustificazione narrativa. Risulta tuttavia azzeccato l'espediente di alternare le immagini bicromatiche della vicenda storica a quelle a colori dei film e delle rappresentazioni teatrali presenti nella trama, a sottolineare la suggestione che queste due arti rappresentano agli occhi del giovane protagonista: interessante, a tal proposito, come i riflessi colorati del teatro si riflettano negli spessi occhiali in bianco e nero della nonna.

Molto scarne sono anche le scenografie di Jim Clay e i costumi di Charlotte Walter, mentre ai fini della ricostruzione ambientale e storica risultano decisamente più efficaci le musiche di Patrick Doyle (Harry Potter e il calice di fuoco, 2005), alternate con brani e balli d'epoca che contribuiscono a ravvivare il ritratto di un'epoca altrimenti contrassegnata da guerra e crisi sociale. Quanto alle interpretazioni, si segnalano le ottime prove del cast femminile, nobilitate da dialoghi e battute ora più taglienti, ora più intense di quanto non spetti ai personaggi maschili, più monodimensionali.

Belfast, soffrendo sia dell'accostamento di Branagh a blockbuster d'autore, sia del confronto con altre opere autobiografiche di maggior portata, andrebbe visto come un film volutamente personale, che lascia dietro di sé forse più domande del dovuto ma sa colpire per l'atmosfera di sincera nostalgia che ne traspira.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 1 marzo 2022.

Pro:

  • Sincera ricostruzione del periodo storico attraverso gli occhi di un bambino.
  • Interessanti soluzioni di uso del colore e di commento musicale.
  • Buone interpretazioni del cast femminile

Contro:

  • Mancato sviluppo delle numerose tematiche e linee narrative coinvolte.
  • Visivo spesso scarno o difettoso.
  • Personaggi maschili meno intensi sia per descrizione che per dialoghi.

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