Harley Quinn, dopo la separazione con Joker, è costretta a cavarsela da sola, o quasi.
Harley Quinn, dopo la separazione con Joker, è costretta a cavarsela da sola, o quasi.
Agosto 2016, nelle sale italiane esce Suicide Squad, cinecomic firmato DC, che viene immediatamente denigrato, da critica e pubblico in egual misura. Tre anni e mezzo dopo suo diretto sequel e spin-off Birds of Prey vede la luce: il risultato è migliore, ma non convince abbastanza. La volontà da parte della casa cinematografica madre di Superman e Batman, di focalizzarsi sulla vita della singola personalità di Harley Quinn sembrava fosse giustificata dal mancato entusiasmo che i film non standing alone avessero riscosso.
Tuttavia, come insegna la rivale Marvel (Avengers Endgame, 2019), la ricetta del successo non risiede in un determinato tipo di narrazione dei personaggi, ma come quest'ultima viene infine portata in scena. È evidente fin dall'inizio il tentativo di avvicinarsi ai toni comici tanto apprezzati di Deadpool per esempio, ma ciò rimane solamente un esperimento fallito, poiché il solo espediente della rottura della quarta parete per mano della protagonista Harley Quinn, non è minimamente sufficiente per ottenere il trionfo del campione di incassi (ex campione, ora sostituito da: Joker, 2019). La sceneggiatura di Christina Hodson (Bumblebee, 2018) è catastrofica:
l'utilizzo di flashback risulta confuso: i chiarimenti non fanno che arricchire la narrazione senza offrire la giusta tridimensionalità ai personaggi, che si ritrovano costretti nei loro banali stereotipi.
La figura di Harley Quinn, per ovvie ragioni, è maggiormente sfaccettata, tuttavia il continuo bisogno dell'autrice di inserire dialoghi e gag sciocchi, non fa che snaturare la complessa e folle genialità che il personaggio di Harley avrebbe dovuto avere, conferendole invece un aspetto più vicino al trash volgare. La presenza di Chad Stahleski (regista dei tre capitoli della saga John Wick) come direttore di stuntman influenza positivamente la regia nei momenti di azione, altrimenti a malapena nella media, che, seppur appaiano stravaganti e pressoché inverosimili, risultano funzionali allo stile del racconto.
Stile che, grazie a una discreta fotografia (ma decisamente troppo poco ambiziosa) si regge su un ridondante utilizzo di colori accesi e assortimenti glitterati, acquisendo in definitiva un'estetica uniforme assai coerente. Le scenografie, volutamente iperboliche (tra tutte, il parco di divertimenti ben fatto), e il montaggio sonoro complessivo conferiscono al film i suoi due pregi maggiori. L'audio, sperimentale ma azzeccato, pone le musiche, dal genere punk rock, in combinazione con la diffusione ambientale rimixando il master stereo utilizzando tutti e 5 i canali a disposizione, immergendo maggiormente lo spettatore, tuttavia uscendo dai canoni della tecnica tradizionale. Le performance attoriali, soprattutto a causa dell'imbarazzante sceneggiatura a cui sottostavano, sono in generale molto negative. Margot Robbie (The Wolf of Wall Street, 2013; C'era una volta a… Hollywood, 2019) in linea con la follia di Harley Quinn è sicuramente l'interpretazione migliore, le pose istrionesche e la vena emozionale esercitano sul pubblico quantomeno un intrattenimento, tuttavia non è abbastanza per caricarsi sulle spalle l'intero film.
Il pessimo intreccio narrativo non permette a Birds of Prey di fare il salto di qualità tanto atteso anzi, oltre a prevedere uno scarso esito al botteghino (tanto da portare i distributori a cambiare il titolo originale da Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn a un più semplice e attraente Harley Quinn: Birds of Prey), mette in risalto il triste fatto per cui il reparto cinematografico della nota casa editrice DC di questi anni verrà ricordato solamente (forse fortunatamente) per le uniche due opere autoriali, dove non è un caso che il gruppo Warner si fosse allontanato di più, offrendo ai registi maggior libertà artistica: la trilogia di Christopher Nolan e il Joker di Todd Phillips.
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