Quando la conduttrice televisiva Gretchen Carlson accusa di molestie sessuali il proprio capo, nonché fondatore della Fox News, Roger Ailes, altre donne spinte dal suo coraggio decidono di farsi avanti.
Quando la conduttrice televisiva Gretchen Carlson accusa di molestie sessuali il proprio capo, nonché fondatore della Fox News, Roger Ailes, altre donne spinte dal suo coraggio decidono di farsi avanti.
A circa 3 anni dall'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d'America, Hollywood ricalca nuovamente la propria tendenza liberal-progressista, confezionando un prodotto meta cinematografico in una veste del tutto anti trumpiana. Bombshell – La voce dello scandalo è una pellicola apertamente femminista, che denuncia le molestie realmente subite da alcune giornaliste di Fox News (l'emittente filo repubblicana gestita da Roger Ailes). Il progetto si è concretizzato, volutamente, solo dopo la morte dell'amministratore delegato responsabile delle molestie, e l'evidente attacco politico all'emittente più conservatrice degli Stati Uniti non è casuale. Benché il film porti avanti soprattutto le battaglie sociali maggiormente moralistiche, come la mercificazione della donna e la valenza dei media nella società odierna, una presa di posizione politica così netta non giova alla pellicola.
È pur vero però, che, nell'indirizzare dei messaggi di così tanta importanza culturale, una comunicazione più imparziale sarebbe stata completamente debilitata da una propulsione politica e sociale assente.
La sceneggiatura riesce ad equilibrare ottimamente questi parametri, valorizzando i diversi punti di vista degli interessati, e indagando varie situazioni di criticità sociale: vittimismo, violenza, opportunismo. Tuttavia, non regala nessuno spunto narrativo particolare, e non si distacca notevolmente da una convenzionale pellicola a stampo giornalistico.
Ciò che colpisce è invece la caratterizzazione delle tre protagoniste, supportata per gran parte dalle loro splendide interpretazioni. Nicole Kidman (Boy Erased, 2018) è la giornalista matura e decadente, che, ormai scomoda, è il caso di far fuori; Margot Robbie (C'era una volta a… Hollywood, 2019) è la giovane di belle speranze, pronta a tutto pur di ottenere successo, magnifica nell'esprimere disagio durante la molestia; e infine Charlize Theron (Monster, 2003), che fa da ponte tra le due (agli antipodi), essendo stata in passato nei panni della seconda e ormai in procinto di vestire quelli della prima. Quest'ultima ha effettuato uno studio approfondito sul personaggio: dalla modulazione della voce, alle movenze, senza limitarsi ad una mera imitazione.
Nonostante le ottime prove attoriali, l'incertezza di presentare una storia così sfaccettata e delicata attraverso un taglio eccessivamente documentaristico (fuori luogo la rottura della quarta parete) conferisce alla pellicola un'inflessione registica distorta, che non va a combaciare con il trattamento narrativo giornalistico (e non d'inchiesta) assegnato. Tagli veloci, zoom, telecamera in spalla e inquadrature imprecise non collaborano nella realizzazione di un film che, volutamente, sceglie di non essere un documentario, ma per assurdo ne impiega le tecniche.
Anche la fotografia, buona, risente dell'impostazione docu-giornalistica: pulita e realistica, volta ad evidenziare i colori più accesi (spesso i vestiti dei personaggi), concorrendo da molto lontano a quel genere di film, pregevoli, per il quale il noto regista Adam McKay è ora famoso (come La grande scommessa, 2015 o Vice – L'uomo dell'ombra, 2018). A chiudere il cerchio vi sono trucco e costumi. Il primo di notevole qualità, che, tra le tante funzioni, sfrutta il prostetico per rendere Charlize Theron fisionomicamente identica alla giornalista Megyn Kelly; la somiglianza infatti risulta impressionante. I costumi invece, talvolta più significativi di molte parole, raccontano accuratamente quali sono i rapporti sociali tra persona a persona, d'altronde “i soldati vengono vestiti tutti uguali, perché sono rimpiazzabili”.
Bombshell è sicuramente un'occasione sprecata: le grandi interpretazioni non possono rimediare ai numerosi errori tecnici e la quasi totale assenza di una musica portante; inoltre l'ambiguità registica non aiuta lo spettatore nel coinvolgimento nel racconto, che seppur ordinario, in definitiva appare sufficiente.
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