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Roman Polanski

Carnage | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Carnage
Titolo Originale:
Carnage
Regia:
Roman Polanski
Uscita:
1 settembre 2011
(prima: 16/09/2011)
Lingua Originale:
en
Durata:
79 minuti
Genere:
Commedia
Dramma
Soggetto:
Sceneggiatura:
Roman Polanski
Yasmina Reza
Yasmina Reza
Fotografia:
Paweł Edelman
Montaggio:
Hervé de Luze
Scenografia:
Franckie Diago
Musica:
Alexandre Desplat
Produzione:
Saïd Ben Saïd
Produzione Esecutiva:
Javier Méndez
Casa di Produzione:
Wild Bunch
SBS Productions
SPI Film Studio
Versátil Cinema
Zanagar Films
CinéCinéma
PISF
Canal+
France 2 Cinéma
France Télévisions
Constantin Film
Budget:
$25 milioni
Botteghino:
$30 milioni
Carica Altro

Redazione

8+

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Nancy Cowan
Kate Winslet
Penelope Longstreet
Jodie Foster
Alan Cowan
Christoph Waltz
Michael Longstreet
John C. Reilly
Zachary Cowan
Elvis Polanski
Ethan Longstreet
Eliot Berger
Secretary (voice)
Julie Adams
Walter (voice)
Joseph Rezwin
Michael's Mother (Telephone Voice) (voice)
Tanya Lopert
Dennis (voice)
Nathan Rippy
Jogger (voice) (uncredited)
Lexie Kendrick

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Due coppie di genitori si trovano per riappacificare una lite sorta fra i rispettivi figli: ne scaturiranno conseguenze più violente del previsto.

Recensione:

Costante nella carriera di Roman Polanski è sempre stato il confronto con la ristrettezza dello spazio narrativo e le conseguenze che ne derivano. Se tale angustia rimane reale per il prigioniero Dreyfus e metaforica (la ristrettezza degli ingranaggi legislativi) per Picquart, protagonisti dell'ultimo suo film L'ufficiale e la spia (2019), nella celebre trilogia dell'appartamento, che comprende L'inquilino del terzo piano (1976), la ristrettezza è invece proprio concausa degli eventi narrati. Carnage non sfrutta certo una dinamica nuova: la limitazione ambientale, da camera, è tipicamente teatrale, come lo è il testo di soggetto del film, Il Dio del massacro di Yasmina Reza. Tuttavia il lavoro di Polanski merita, per sapienza dei dialoghi e della messa in scena, di essere inserito in quel gruppo esemplificativo di film ad ambientazione singola che, soprattutto negli ultimi anni, sembrano riscoprire tali potenzialità drammatiche: The hateful eight (2015) di Quentin Tarantino e The lighthouse (2019) di Robert Eggers fra gli altri. Capostipite di tutti è quel Nodo alla gola (1948) di Alfred Hitchcock che, oltre a rappresentare una sfida tecnica suprema per i tempi, aveva messo in luce ciò che la ristrettezza degli ambienti può consentire: una lente di ingrandimento sul dettaglio, sulle singole parole e reazioni dei personaggi, un termometro che varia al minimo mutamento di tensione interpersonale. In misura diversa, ma con lo stesso principio animatore, è ciò che ha guidato anche Lars Von Trier con l'espediente di abbattere i muri del villaggio di Dogville (2003), rendendolo un ambiente unico.

È nella sceneggiatura, di Reza e Polanski, che il film trova uno dei suoi punti di forza principali. Una serie di simmetrie e chiasmi, nei rapporti di tensione e scioglimento fra le due coppie e contemporaneamente fra i singoli individui, rendono la narrazione scandita, eccitante e pronta a farsi seguire in un climax di violenza verbale e tensionale.


Le scene al parco, che aprono e chiudono i film, hanno la stessa funzione di de-compensazione che le introduzioni e le code hanno in certe tumultuose sinfonie classiche:


all'interno delle quali i fraseggi degli strumenti, comparabili ai dialoghi del film, si affastellano cercando di risuonare il più possibile. La gestione degli equilibri dialogici e l'espressione dei motivi di conflitto sono detonanti e costantemente in crescendo: l'analisi spietata della natura umana fatta da Polanski non sembra lasciare spazio a scappatoie o indulgenze. È forse proprio in tale sadismo che risiede il limite della sceneggiatura: Carnage è un meccanismo ad orologeria spinto verso l'abisso, che però trascura tutte le sfumature plausibilmente umane e presenti nei personaggi: in questo, un film più recente come The party (2017) di Sally Potter riesce meglio a calibrare empatia e livore, critica e immedesimazione. Geniale, in ogni caso, la chiusura che ciclicamente si ricollega al principio e spiazza, senza preavviso, lo spettatore.

Ciò non toglie, bisogna sottolineare, nulla alle ottime performance che reggono il film. Con ritmi davvero teatrali e forsennati, i quattro protagonisti incarnano prototipi dello squallore ipocrita e autodistruttivo medio-borghese tanto respingenti quanto ben identificabili. La regia non può, a tal punto, che adagiarsi placidamente sull'efficacia delle dinamiche e la bravura degli attori: una mise en scène particolarmente linda e sobria caratterizza infatti il film. Se ciò sia un limite o una scelta, quasi a voler parodiare la sit-com televisiva familiare offrendone una versione macabra, è risposta da rimandare all'aspettativa di chi guarda. Più probabilmente, tale disaffezione della macchina da presa ai personaggi è frutto del ribrezzo stesso che essi stessi sono in grado di generare.

Nel gioco di sobrietà e limitazioni, a parte la presenza di Alexandre Desplat (L'isola dei cani, 2018; Piccole donne, 2020) per la colonna sonora, si segnala la fotografia di Pawel Edelman, collaboratore abituale di Polanski, che insiste qui con la rappresentazione quasi ossessiva di ordine, cromatismo caldo e pulizia che si rivelano solo man mano ingannevoli.

Carnage, intelligente opera di trasposizione da palcoscenico a schermo, continua un discorso non inedito per l'autore naturalizzato francese: una sorta di quarto capitolo della trilogia summenzionata, in cui l'ossessione e il senso di ostilità paranoica che prima erano di una giovane donna (Repuslione, 1965), poi di una coppia di genitori a New York (Rosemary's baby, 1968) e infine di un immigrato in ambiente metropolitano (L'inquilino del terzo piano), sembrano essersi trasferiti in una quotidianità borghese che, essendo quotidiana e alienante allo stesso tempo, non può che generare paranoie e tensioni.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 12 maggio 2020.

Pro:

  • Sceneggiatura capace di cogliere le tensioni e il climax fra personaggi.
  • Interpretazioni di quattro protagonisti superlative.
  • Fotografia ironica nel contrasto fra cromatismo caldo e orrore rappresentato.

Contro:

  • Limitata empatia conferita ai personaggi.
  • Limitata esplorazione delle potenzialità espressive dell'ambiente.

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