Polonia, anni '50, un pianista si innamora di una giovane cantante, e insieme dovranno far fronte alle loro divergenze caratteriali e alla società che li circonda.
Polonia, anni '50, un pianista si innamora di una giovane cantante, e insieme dovranno far fronte alle loro divergenze caratteriali e alla società che li circonda.
In seguito al successo internazionale di Ida (2013), Paweł Pawlikowski sceglie di ispirarsi liberamente ai suoi genitori, per raccontare una profonda storia d'amore simbolicamente testimone dell'Europa del dopoguerra. La relazione travagliata dei protagonisti è essa stessa personificazione delle forti e nette contraddizioni nazionali a cui la Polonia era soggetta. Principale interprete è il realismo, volto interamente a caratterizzare ogni singola componente cinematografica, e che garantisce una completa immersione a favore dello spettatore. Il soggetto estremamente semplice e la mancanza di particolari intrecci narrativi favorisce una sceneggiatura convenzionale, priva di un reale entusiasmo novello. Persino la trascuratezza di alcuni aspetti fondamentali della storia, essendo incentrata unicamente sulla coppia, come il fatto che la donna diventi madre per esempio, potrebbero far pensare a un'effettiva deficienza tecnica. Eppure, la pura semplicità narrativa, contraddistinta da una struttura chiastica dei personaggi e da dialoghi minimali, si coniuga perfettamente con lo spirito ideale dell'opera.
L'analisi del rapporto di coppia è eccezionale, specie nel mostrare le contraddizioni intrinseche dei sentimenti, a cui i protagonisti si lasciano andare completamente, privandosi di qualsiasi razionalità e pagando sulla loro pelle questo abbandono.
La regia e la fotografia, entrambe marcate da una chiara inclinazione autoriale e che risentono del cinema europeo, di Michelangelo Antonioni (La notte, 1961; Blow-Up, 1966) ad esempio, sono esemplari. La scelta del formato pressoché quadrato non è unicamente impiegata per omaggiare le pellicole dell'epoca: la valenza espressiva della cinepresa così eccessivamente vicina ai soggetti che filma, accentua il realismo nei suoi particolari, e costringe gli attori a posizionarsi prossimi uno con l'altro, mettendo in risalto i contrasti e gli equilibri della relazione di coppia. La fotografia in bianco e nero, quasi grigia, per mano di Lukasz Zal (Ida, 2013; The High Frontier, 2016) intensifica le divergenze interne dei protagonisti, e in modo particolare riporta visivamente lo spettatore alla tradizione cinematografica di quegli stessi anni nel quale la vicenda è ambientata. Se inizialmente le immagini ricorrenti appaiono statiche e contrassegnate da un utilizzo ripetitivo di inquadrature a specchio, rigide, man mano che la storia evolve e i personaggi con essa, le riprese acquistano dinamicità e seguono funzionalmente il travaglio amoroso della coppia.
Come le immagini, anche il suono progredisce con il tempo. Le musiche diegetiche, senza eccezioni, eseguite quindi all'interno del profilmico, e di forte impronta nazional popolare, spogliano il film del suo artificio cinematografico, avvalorando ancor di più il carattere puramente realistico. Quest'ultime conferiscono inoltre autenticità al contesto trattato. Difatti la ricostruzione storicoculturale è realizzata ottimamente, e rispecchia con estrema veridicità le dinamiche collettive dei paesi esaminati: Polonia, Francia e Jugoslavia.
Il finale infine, struggente e inaspettato allo stesso tempo, pone lo spettatore in una strana contraddittorietà esistenziale. Tuttavia, che vinca l'amore o la rassegnazione al pubblico non interessa, è sufficiente essere stati testimoni, per poco tempo, di un periodo storico antitetico e così espressivamente intenso.
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