Quattro ex commilitoni tornano in Vietnam per recuperare il loro caposquadra deceduto e un tesoro segretamente nascosto.
Quattro ex commilitoni tornano in Vietnam per recuperare il loro caposquadra deceduto e un tesoro segretamente nascosto.
Proprio nei giorni in cui negli USA imperversano le proteste per la morte di George Floyd sotto l'egida del motto Black Lives Matter, Netflix distribuisce l'ultima opera di Spike Lee, regista afroamericano che si è nel tempo contraddistinto per aver sempre affrontato in modo diretto e sfrontato tematiche politiche e sociali, prima fra tutte quella delle discriminazioni a sfondo razziale negli Stati Uniti (Fa la cosa giusta – 1989, Blackkklansman – 2018). Anche in Da 5 Bloods – Come fratelli, il razzismo resta il tema cardine attorno a cui ruota tutto il film, caratterizzato nell'incipit e nell'epilogo dal tipico taglio documentaristico che Lee è solito conferire alle sue pellicole. Il lungometraggio in esame, più che un falso documentario si rivela in effetti un vero e proprio mockumentary, che si propone di parodiare senza mezze misure la trionfalistica retorica della guerra del Vietnam. È dunque in quest'ottica che vanno letti i ripetuti e fin troppo espliciti omaggi ad Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979) o l'estenuante utilizzo di musiche epico-belliche in pieno stile Medal of Honor.
Il problema principale risiede tuttavia nel fatto che Spike Lee sembra questa volta aver abusato della sua tipica licenza poetica.
La prima componente a non convincere è la sceneggiatura. Dopo un inizio promettente, lo sviluppo della storia si rivela piuttosto farraginoso: i personaggi risultano estremamente stereotipati e non presentano un'approfondita introspezione psicologica; l'unica personalità su cui ci si sofferma è quella di Paul, il quale tuttavia viene utilizzato solo per veicolare una chiara propaganda politica, limitandosi ad incarnare il reduce di guerra afflitto da stress post-traumatico che si rifugia nella retorica trumpiana per sentirsi più al sicuro. Dal punto di vista meramente filmico (che è ciò che più conta in questa sede) la sua storyline si rivela debole al pari di tutte le altre. La pellicola viene inoltre appesantita da dialoghi talvolta troppo convenzionali (a titolo esemplificativo basti pensare al monologo di Paul che rompe improvvisamente la quarta parete), oltre che da una durata eccessiva. A non convincere sono anche le musiche, spesso decontestualizzate e inappropriate rispetto alle scene cui vengono abbinate, e il trucco, di fatto completamente assente. Se da un lato la scelta di non far ringiovanire gli attori nei flashback mediante trucco o CGI (come avviene ad esempio in The Irishman, 2019) può essere vista come funzionale rispetto alla figura di Norman, il quale viene presentato come un martire eternamente giovane (alla Martin Luther King), dall'altro ridicolizza le scene di combattimento, che sembrano avvenute pochi giorni prima rispetto al presente. Probabilmente la scelta di controfigure più giovani, sarebbe stata un giusto compromesso.
Risultano invece più che discrete regia e fotografia. La prima, seppur non particolarmente virtuosa, si dimostra espressiva e funzionale alla storia; la seconda, nonostante l'utilizzo appena accennato di color correction, acquisisce di valore soprattutto nel passaggio di formato dal passato al presente, riuscendo a sottolineare con efficacia la distanza temporale (del tutto ignorata invece dal trucco). Di buon livello risultano anche il sonoro (ottima la cura nella spazializzazione e nella scelta dei suoni) e le interpretazioni attoriali, su cui spicca prominente quella di Delroy Lindo, che riesce a dare profondità alle battute del suo personaggio, nonostante i limiti di scrittura di cui si è già avuto modo di discorrere in precedenza.
Come quasi tutti i film socialmente impegnati e politicamente schierati, anche Da 5 Bloods – Come fratelli è destinato a toccare le corde più intime e personali dello spettatore, la cui piacevolezza visiva tende inevitabilmente a risultare direttamente proporzionale alla sua affinità ideologica. A prescindere da ciò, da un punto di vista strettamente cinematografico, scevro da qualsiasi condizionamento di sorta e dunque il più possibilmente “unpolitico”, la pellicola in esame risulta nel complesso di discreta fattura tecnica, seppur pesantemente limitata in termini di scrittura.
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