Lo scaltro ladro Diabolik è sulle tracce del Diamante Rosa, prezioso di proprietà della bella Eva Kant, e braccato dall'ispettore Ginko.
Lo scaltro ladro Diabolik è sulle tracce del Diamante Rosa, prezioso di proprietà della bella Eva Kant, e braccato dall'ispettore Ginko.
Tratto dalla storica opera a fumetti delle sorelle Angela e Luciana Giussani, la trasposizione del duo registico dei Manetti Bros. è sicuramente un prodotto atipico nella recente cinematografia italiana, che risulta alieno anche rispetto alle recenti ibridazioni fra cinema, cultura pop e graphic novel realizzate nel Belpaese: non ha nulla del barocchismo in salsa romana di Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) e Freaks Out! (2021) di Gabriele Mainetti, né dell'iperrealismo partenopeo di 5 è il numero perfetto (2017) di Igort e nemmeno della vena distopica, e tuttavia ben localizzata, de La terra dei figli (2021) di Claudio Cupellini. Il suo modello, oltre ai personaggi originali, sembra essere il noir classico di gusto internazionale, da Alfred Hitchcock a Jean-Pierre Melville. In molti, dopo l'uscita del film, hanno indicato come pregio il lavoro di sottrazione operato dagli autori, limitando le scene d'azione in favore di un approccio più posato: ne risulta tuttavia un film, innanzitutto, privo di una precisa identità e incapace di realizzare appieno i propri presupposti. La delusione è aggravata dal confronto non tanto con il fumetto originale, di per sé indebito, quanto con l'importanza dei nomi coinvolti e con la forte campagna promozionale mirata a fare del film un instant cult prima ancora dell'uscita. Operazione, quest'ultima, sicuramente riuscita con maggiore successo al succitato Mainetti.
Il problema principale risiede nella sceneggiatura dei Manetti e di Michelangelo La Neve, sia a livello di narrazione che di dialoghi. La prima si svolge attraverso snodi narrativi ora scontati, ora inutilmente artificiosi: se i colpi di scena, di per sé non sufficienti a formare un buon poliziesco, sono qui inesistenti, lo è anche la costruzione della suspense. I ruoli e gli archi psicologici dei personaggi risultano piatti e telefonati, mentre gli scambi di battute cadono in più punti nell'imbarazzo.
La scrittura sembra risentire dei problemi di adattamento dall'opera originale, fraintendendo però sintassi e ritmi che, quando funzionanti per il fumetto, non lo sono per il cinema.
L'impressione generale è quella di trovarsi davanti a uno sceneggiato degli anni Settanta, senza che vi sia alcun beneficio archeologico e cinefilo: certi scambi di battute lenti e forzati, accettabili oggi in un classico di Dario Argento, sono inopportuni per un film che avrebbe potuto incidere sul nuovo corso che il cinema italiano sta, coi propri pregi e difetti, adottando da qualche anno a questa parte. Per restare nel solco del noir all'italiana, mancano sia la trasgressione, filmica ed etica, di Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, sia l'umorismo cinico e dissacrante de L'odore della notte (1998) del mai troppo ricordato Claudio Caligari.
La regia è volutamente spoglia e controllata, il che non rappresenterebbe di per sé un problema se non fosse correlata a un visibile, quanto sgangherato, anelito postmoderno dell'opera. L'atmosfera retrò che pervade il racconto, talvolta apprezzabile, stride con l'evidente contemporaneità di vari elementi e ambientazioni fin troppo riconoscibili, da Bologna a Milano passando per Trieste. Ne consegue un lavoro di scenografia, a cura di Noemi Marchica, e di costumi, a cura di Ginevra de Carolis, praticamente volatilizzato. Si aggiunge una colonna sonora poco incisiva per mano di Pivo e Aldo De Scalzi.
Il chiacchierato cast riesce a malapena a risollevare le sorti del prodotto finale. Le prove attoriali sono penalizzate dai difetti di sceneggiatura prima elencati: resta tuttavia l'indubbio carisma di Marinelli e Mastandrea, perlomeno credibili a fronte di altri interpreti del tutto spenti e poco incisivi. Si dice spesso, a ragion veduta, che il cinema italiano contemporaneo sia ingiustamente penalizzato da una sorta di pregiudizio, per cui il medesimo film, dotato di un marchio internazionale, sarebbe oggetto di critiche più benevole: non è purtroppo il caso di Diabolik, opera che inciampa sulle proprie potenzialità e non riesce ad andare oltre la riproposizione, senza dovuto adattamento, di un classico del fumetto europeo.
Caricamento modulo