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Antonio Manetti, Marco Manetti

Diabolik | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Diabolik
Titolo Originale:
Diabolik
Regia:
Antonio Manetti
Marco Manetti
Uscita:
16 dicembre 2021
(prima: 16/12/2021)
Lingua Originale:
it
Durata:
133 minuti
Genere:
Crime
Azione
Dramma
Mistero
Soggetto:
Antonio Manetti
Marco Manetti
Angela Giussani
Luciana Giussani
Michelangelo La Neve
Mario Gomboli
Sceneggiatura:
Antonio Manetti
Marco Manetti
Michelangelo La Neve
Fotografia:
Francesca Amitrano
Montaggio:
Federico Maria Maneschi
Scenografia:
Musica:
Pivio
Aldo De Scalzi
Produzione:
Antonio Manetti
Marco Manetti
Carlo Macchitella
Paolo Del Brocco
Produzione Esecutiva:
Pier Giorgio Bellocchio
Laura Contarino
Casa di Produzione:
Mompracem
RAI
Astorina S.A.C.
Budget:
$11 milioni
Botteghino:
$3 milioni
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Redazione

4

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Diabolik
Luca Marinelli
Eva Kant
Miriam Leone
Ginko
Valerio Mastandrea
Giorgio Caron
Alessandro Roja
Elisabeth Gay
Serena Rossi
Roberto
Luca Di Giovanni
Flora
Vanessa Scalera
Hotel manager
Roberto Citran
Prison warden
Antonino Iuorio
Ada Fanel
Daniela Piperno
Sgt. Palmer
Pier Giorgio Bellocchio
Officer Florian
Guglielmo Favilla
Duncan
Urbano Barberini
Dugan
Giovanni Calcagno
Detective Driskell
Davide Devenuto
Prosecutor
Stefano Pesce
Defense attorney
Massimo Triggiani
Mrs. Morel
Claudia Gerini
Officer Dalton
Antonio Scarpa
Nadia
Francesca Nerozzi

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Lo scaltro ladro Diabolik è sulle tracce del Diamante Rosa, prezioso di proprietà della bella Eva Kant, e braccato dall'ispettore Ginko.

Recensione:

Tratto dalla storica opera a fumetti delle sorelle Angela e Luciana Giussani, la trasposizione del duo registico dei Manetti Bros. è sicuramente un prodotto atipico nella recente cinematografia italiana, che risulta alieno anche rispetto alle recenti ibridazioni fra cinema, cultura pop e graphic novel realizzate nel Belpaese: non ha nulla del barocchismo in salsa romana di Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) e Freaks Out! (2021) di Gabriele Mainetti, né dell'iperrealismo partenopeo di 5 è il numero perfetto (2017) di Igort e nemmeno della vena distopica, e tuttavia ben localizzata, de La terra dei figli (2021) di Claudio Cupellini. Il suo modello, oltre ai personaggi originali, sembra essere il noir classico di gusto internazionale, da Alfred Hitchcock a Jean-Pierre Melville. In molti, dopo l'uscita del film, hanno indicato come pregio il lavoro di sottrazione operato dagli autori, limitando le scene d'azione in favore di un approccio più posato: ne risulta tuttavia un film, innanzitutto, privo di una precisa identità e incapace di realizzare appieno i propri presupposti. La delusione è aggravata dal confronto non tanto con il fumetto originale, di per sé indebito, quanto con l'importanza dei nomi coinvolti e con la forte campagna promozionale mirata a fare del film un instant cult prima ancora dell'uscita. Operazione, quest'ultima, sicuramente riuscita con maggiore successo al succitato Mainetti.

Il problema principale risiede nella sceneggiatura dei Manetti e di Michelangelo La Neve, sia a livello di narrazione che di dialoghi. La prima si svolge attraverso snodi narrativi ora scontati, ora inutilmente artificiosi: se i colpi di scena, di per sé non sufficienti a formare un buon poliziesco, sono qui inesistenti, lo è anche la costruzione della suspense. I ruoli e gli archi psicologici dei personaggi risultano piatti e telefonati, mentre gli scambi di battute cadono in più punti nell'imbarazzo.


La scrittura sembra risentire dei problemi di adattamento dall'opera originale, fraintendendo però sintassi e ritmi che, quando funzionanti per il fumetto, non lo sono per il cinema.


L'impressione generale è quella di trovarsi davanti a uno sceneggiato degli anni Settanta, senza che vi sia alcun beneficio archeologico e cinefilo: certi scambi di battute lenti e forzati, accettabili oggi in un classico di Dario Argento, sono inopportuni per un film che avrebbe potuto incidere sul nuovo corso che il cinema italiano sta, coi propri pregi e difetti, adottando da qualche anno a questa parte. Per restare nel solco del noir all'italiana, mancano sia la trasgressione, filmica ed etica, di Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, sia l'umorismo cinico e dissacrante de L'odore della notte (1998) del mai troppo ricordato Claudio Caligari.

La regia è volutamente spoglia e controllata, il che non rappresenterebbe di per sé un problema se non fosse correlata a un visibile, quanto sgangherato, anelito postmoderno dell'opera. L'atmosfera retrò che pervade il racconto, talvolta apprezzabile, stride con l'evidente contemporaneità di vari elementi e ambientazioni fin troppo riconoscibili, da Bologna a Milano passando per Trieste. Ne consegue un lavoro di scenografia, a cura di Noemi Marchica, e di costumi, a cura di Ginevra de Carolis, praticamente volatilizzato. Si aggiunge una colonna sonora poco incisiva per mano di Pivo e Aldo De Scalzi.

Il chiacchierato cast riesce a malapena a risollevare le sorti del prodotto finale. Le prove attoriali sono penalizzate dai difetti di sceneggiatura prima elencati: resta tuttavia l'indubbio carisma di Marinelli e Mastandrea, perlomeno credibili a fronte di altri interpreti del tutto spenti e poco incisivi. Si dice spesso, a ragion veduta, che il cinema italiano contemporaneo sia ingiustamente penalizzato da una sorta di pregiudizio, per cui il medesimo film, dotato di un marchio internazionale, sarebbe oggetto di critiche più benevole: non è purtroppo il caso di Diabolik, opera che inciampa sulle proprie potenzialità e non riesce ad andare oltre la riproposizione, senza dovuto adattamento, di un classico del fumetto europeo.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 22 dicembre 2021.

Pro:

  • Presenza di validi interpreti quali Marinelli e Mastandrea.

Contro:

  • Sceneggiatura a tratti imbarazzante sia nello svolgimento che nei dialoghi.
  • Malriuscita conciliazione fra atmosfera retrò e contemporaneità.
  • Risultato finale privo di una precisa identità.

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