Un loquace gioielliere ebreo annaspa tra le strade newyorkesi per sopravvivere alla moltitudine dei suoi creditori, chiedendo continui prestiti per giocare d'azzardo.
Un loquace gioielliere ebreo annaspa tra le strade newyorkesi per sopravvivere alla moltitudine dei suoi creditori, chiedendo continui prestiti per giocare d'azzardo.
Nuova pellicola distribuita da Netflix e diretta da Josh e Benny Safdie, che tornano alla regia di un lungometraggio dopo Good Time (2017), il loro film sino a questo momento più noto. Tra i produttori esecutivi spicca il nome di Martin Scorsese, che però non deve fuorviare: Diamanti Grezzi, nonostante un qualche timido rimando ravvisabile nel soggetto, è anni luce distante dalla gloriosa cinematografia del cineasta newyorkese.
La parola chiave del film è infatti confusione. Se da un lato questa è volutamente cercata dai fratelli Safdie, che catapultano lo spettatore nella caotica vita di Howard Ratner senza dare alcun canonico punto di riferimento (operazione azzardata ma perfettamente riuscita), dall'altro i registi sembrano perdere più volte la bussola, reiterando cicli narrativi in modo superfluo e, per l'appunto, confusionario.
La sceneggiatura è nel complesso ben scritta, ma lo schema del soggetto si ripete macchinosamente: il protagonista commette un errore, cerca di risolverlo, ci riesce dopo varie peripezie, ma poi commette un altro errore e il ciclo si ripete, fino all'ineluttabile epilogo. I vari personaggi che si interfacciano discontinuamente con Howard mancano di qualsiasi introspezione psicologica, compiono azioni mosse da interessi personali senza alcuna chiarezza, in modo inspiegabilmente losco, brusco e talvolta contraddittorio (almeno agli occhi dello spettatore), generando una confusione disturbante, incrementata dal ritmo della narrazione, frenetico, ma nella sostanza ripetitivo e per forza di cose prevedibile.
La regia è dinamica e coerente con il soggetto, riuscendo con disorientanti spostamenti della cinepresa ad accrescere quel senso di ansia e di affanno che viene efficacemente trasferito dal protagonista allo spettatore. Soddisfacente in tal senso anche la scenografia: la caoticità di New York si rivela la giusta ambientazione per i traffici di Howard, continuamente alla ricerca di prestiti e scommesse tra l'indifferenza della folla e i claustrofobici rumori della Grande Mela. Ciò nonostante, sebbene il film sia stato girato in 35 mm formato anamorfico, la fotografia non entusiasma: i colori sono sempre troppo spenti e l'utilizzo delle luci è anonimo e monocromatico, risultando poco funzionale rispetto ai fini narrativi.
Confuse sono anche le musiche, estremamente variegate nello stile e quasi mai coerenti con gli eventi scenici in cui vengono inserite. L'apice di questa dismorfia è ravvisabile sia all'inizio, in cui tentano di ricreare sconnesse atmosfere distopiche alla Blade Runner (1982), sia nei titoli di coda, accompagnati da L'Amour Toujours di Gigi D'Agostino: una scelta straniante difficilmente comprensibile. Pessimo anche il montaggio sonoro; si tratta di un effetto probabilmente voluto per incrementare la caoticità di fondo della pellicola, ma il risultato è tecnicamente disastroso. Soddisfacente risulta invece l'interpretazione di Adam Sandler, vero diamante grezzo del film, che riesce a reggere il peso di un'intera sceneggiatura costruita su di lui e a trasmettere tutta l'ansia e l'affanno del suo personaggio. Positiva anche la prova di Julia Fox, attrice italo-americana al suo film d'esordio, che presumibilmente ritroveremo presto sul grande schermo.
Un'ultima annotazione va infine riservata al doppiaggio, a dir poco scadente. Consigliamo pertanto la visione del film in lingua originale; in caso contrario, sarà possibile assistere a svariate scene in cui i protagonisti parlano a bocca chiusa o tacciono muovendo le labbra.
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