Scheda:
Uscita:
6 aprile 1966
(prima: 6/04/1966)
Soggetto:
Sergio Corbucci
Bruno Corbucci
Sceneggiatura:
Sergio Corbucci
Bruno Corbucci
Montaggio:
Nino Baragli
Sergio Montanari
Scenografia:
Francisco Canet
Francesco Bronzi
Produzione:
Manolo Bolognini
Casa di Produzione:
Tecisa Film
B.R.C. Produzione Film
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Cast:
Trama:
Anticipazione
Trama Completa
Un misterioso pistolero, che vaga negli Stati Uniti del Sud trascinandosi dietro una cassa da morto, si presenta in una cittadina desolata per compiere una vendetta.
Al confine fra Messico e Stati Uniti, un reduce nordista dalla Guerra di Secessione di nome Django (Franco Nero) si aggira a piedi trascinando una cassa da morto. Salva casualmente una donna meticcia, Maria (Loredana Nusciak), dalle angherie di un gruppo prima di messicani e poi di americani. La porta successivamente al saloon del desolato paese vicino. Il padrone del locale, Nataniele (Angel Alvarez), teme che la presenza di Maria attiri le ire del violento maggiore Jackson (Eduardo Fajardo), capo della setta razzista cui appartenevano gli uomini di prima.Al confine fra Messico e Stati Uniti, un reduce nordista dalla Guerra di Secessione di nome Django (Franco Nero) si aggira a piedi trascinando una cassa da morto. Salva casualmente una donna meticcia, Maria (Loredana Nusciak), dalle angherie di un gruppo prima di messicani e poi di americani. La porta successivamente al saloon del desolato paese vicino. Il padrone del locale, Nataniele (Angel Alvarez), teme che la presenza di Maria attiri le ire del violento maggiore Jackson (Eduardo Fajardo), capo della setta razzista cui appartenevano gli uomini di prima.Al confine fra Messico e Stati Uniti, un reduce nordista dalla Guerra di Secessione di nome Django (Franco Nero) si aggira a piedi trascinando una cassa da morto. Salva casualmente una donna meticcia, Maria (Loredana Nusciak), dalle angherie di un gruppo prima di messicani e poi di americani. La porta successivamente al saloon del desolato paese vicino. Il padrone del locale, Nataniele (Angel Alvarez), teme che la presenza di Maria attiri le ire del violento maggiore Jackson (Eduardo Fajardo), capo della setta razzista cui appartenevano gli uomini di prima.
Avviene infatti, di lì a poco, una sparatoria in cui Django ha la meglio: uccide infatti ben quattro pistoleri e risparmia Jackson. Si scopre che proprio questi è responsabile della morte della moglie di Django, tornato per vendicarsi: vuole prima però sterminare tutti i suoi adepti.
L'indomani Jackson si presenta con quaranta banditi, ma Django estrae a sorpresa dalla bara una mitragliatrice: solo il maggiore e pochi altri ne escono vivi e fuggono.
Il vendicatore solitario si reca in seguito al cimitero di Tombstone per trovare la tomba della moglie, assieme a Nataniele: Maria così rimane sola in balia del predicatore Jonathan (Gino Pernice), fratello di Jackson, che le aizza contro le prostitute del locale. A interromperlo sovviene però Hugo Rodríguez (José Bóndalo), rivoluzionario messicano e oppositore di Jackson, e lo uccide dopo terribili torture. Django e Rodriguez, si viene a sapere, si conoscevano già da prima, quando il secondo salvò la vita al primo: l'americano gli consegna Maria e lo convince a organizzare un assalto al forte di Jackson, promettendo ai suoi uomini il ricco tesoro lì custodito.
La missione ha successo, ma durante i festeggiamenti la sera stessa scoppia una lite fra Django e uno degli uomini di Rodríguez. Django successivamente ruba parte dell'oro, caricandolo nella cassa, e tenta la fuga con Maria. Lascia intanto la mitragliatrice in automatico, decimando lo squadrone di messicani. Arrivati presso il ponte sulle sabbie mobili presso il quale si erano incontrati la prima volta, Maria dichiara il proprio amore per Django ma questi rifiuta: quando la bara poi cade accidentalmente nelle sabbie, vi finisce anche Django tentando di recuperarla. Arrivano così i messicani, che uccidono apparentemente Maria e salvano Django, per poi fracassargli le mani fino a renderle inutilizzabili. Fa però la sua ricomparsa Jackson che, con l'aiuto dell'esercito, prima uccide gli uomini di Rodriguez e poi Nataniele, che tiene nascosta Maria. Al cimitero di Tombstone Django, tenendo stabile la pistola grazie alla lapide della moglie, usata come supporto, riesce infine a uccidere Jackson e i suoi uomini, e se ne va.
Recensione:
Nel 1966, grazie soprattutto ai primi grandi successi di Sergio Leone (Per un pugno di dollari, 1964; Per qualche dollaro in più, 1965), il genere spaghetti-western, o western all'italiana, si è ormai affermato soprattutto al botteghino. Se la preoccupazione del western americano era fondare il mito della frontiera e della costruzione di un grande paese civile nelle inospitali terre degli indiani, il genere trasposto in Italia a queste date ha altre caratteristiche, tutt'altro che epiche: la vendetta, la violenza, l'ambiguità morale degli agenti, i costi di produzione relativamente contenuti, le sottintese e mai troppo dichiarate prese di posizioni politiche. Se John Wayne era l'eroe duro e puro, i personaggi dello spaghetti-western sono brutti, sporchi, cattivi e il protagonista, modellato su Clint Eastwood, è il solitario angelo della morte, al di là del bene e del male.
Così si inserisce perfettamente in questo filone Django, film di Sergio Corbucci (Il monaco di Monza, 1963; Johnny Oro, 1966). Il soggetto, scritto da Corbucci stesso e dal fratello Bruno, fra gli sceneggiatori abituali delle commedie di Totò, non è particolarmente originale: una classica storia di vendetta, in linea peraltro con tanti altri prodotti del tempo. Pure la sceneggiatura, scritta a ben dodici mani, fra cui quelle dei Corbucci e di Fernando Di Leo (regista del cult Milano calibro 9, 1972), non presenta particolari innovazioni. La forza dello storytelling risiede però nel saper delineare dei personaggi indimenticabili e iconici, fra tutti Django stesso: individuo che non teme il confronto con la morte, e ne è prova la cassa che si porta appresso, simbolo allo stesso tempo dei propri traumi passati e del proprio essere esso stesso un carnefice (la cassa nasconde un'arma da fuoco automatica). I buoni e i cattivi sembrano essere tali fin dall'inizio, è vero, ma secondo la legge- non legge del West tali differenze morali si dissolvono: i personaggi non hanno uno sviluppo perché lo stesso concetto di sviluppo è vanificato, ai confini del mondo civile.
Il tutto viene valorizzato dall'ottima regia di Corbucci, che sa tanto costruire i quadri epici e suggestivi (la prima comparsa di Django, lo scontro finale nel cimitero) quanto gestire le sequenze d'azione, fra cui spicca il massacro dei messicani e la sparatoria nel saloon. Merita una menzione anche la fotografia di Enzo Barboni, principalmente noto con lo pseudonimo di E. B. Clucher come regista della saga di western comici italiani partita con Lo chiamavano Trinità… (1970, in un'altra fase, non meno interessante, della produzione italiana di genere).
A contribuire allo stato di cult di Django, vi sono sicuramente i costumi e le scenografie di Giancarlo Simi, collaboratore di Sergio Leone, che utilizza elementi strutturali riconoscibili e di forte impatto visivo (il ponte, il cimitero, il vestito nero del protagonista) portandoli allo statuto di vero e proprio archetipo. Soprattuto, la colonna sonora è stata composta da Luis Bacalov (premio Oscar per Il postino, 1994): il compositore argentino, troppo a lungo considerato fratello minore del più famoso Ennio Morricone, ha ricevuto il giusto riconoscimento quando Quentin Tarantino ha scelto di riutilizzare la sigla iniziale di Django per il suo Django unchained (2012). Film che si discosta dall'originale quanto a trama e accento posto esplicitamente sulla tematica razziale, ma che del modello di Corbucci conserva il cinismo, la violenza e la tematica del giustiziere al contempo privato e universale.
Incarnato, quest'ultimo, da Franco Nero nel più iconico dei propri ruoli che nulla ha da invidiare al modello di Clint Eastwood.
Ci sono film che diventano cult per motivi spesso complicati da enucleare, per Django invece è chiaro: rappresenta la sintesi perfetta di una stagione felice della produzione filmica italiana e allo stesso tempo funge da fucina di spunti per tutta la cinematografia a venire.
A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 1 giugno 2019.
Pro:
- Regia e comparto visivo originali ed efficaci.
- Personaggi iconici per un film cult che merita di essere tale.
- Colonna sonora di Bacalov, modello per generazioni successive.
Contro:
- Storia non troppo originale, che però rientra perfettamente nei canoni del genere.
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