In un universo retto dal controllo della miracolosa Spezia, estratta dal pianeta desertico Dune, si scontrano le casate degli Atreides e degli Harkonnen.
In un universo retto dal controllo della miracolosa Spezia, estratta dal pianeta desertico Dune, si scontrano le casate degli Atreides e degli Harkonnen.
Ripudiato dallo stesso regista David Lynch (Velluto Blu, 1986; Mulholland Drive, 2001), Dune rappresenta innanzitutto un monumento alle difficoltà nell'adattare il complesso romanzo di Frank Herbert del 1965, capostipite di una saga fantascientifica la cui influenza è stata determinante per tutta la letteratura e la cinematografia di fantascienza a venire. Prima di Lynch, è nota e immortalata in un documentario del 2013 l'odissea produttiva di Alejandro Jodorowsky che, dopo aver coinvolto nel progetto artisti del calibro dei Pink Floyd, Orson Welles, Salvador Dalì e Moebius, si vide rifiutati i finanziamenti da Hollywood. La tesi di Jodorowsky's Dune è che i copiosi appunti di Jodorowsky, senza mai vedere la luce, siano stati saccheggiati dalle produzioni di alcuni dei più importanti film di fantascienza della storia, primo fra tutti Guerre stellari del 1977. Ad ogni modo, da allora Dune di Herbert si è conquistato la fama di romanzo inadattabile per il grande schermo e il film di Lynch sembra confermarlo.
Il difetto più evidente dell'opera, eccessivamente opulenta e mastodontica per l'allora giovane regista che mai aveva diretto un kolossal, risiede nel montaggio a cura di Anthony Gibbs. È noto che Lynch si vide rifiutato dal produttore Dino de Laurentiis il controllo sul final cut e pertanto il film risulta, nella sua forma definitiva, poco comprensibile e confuso. La scarsa chiarezza della trama, appesantita da una sceneggiatura dello stesso Lynch che tenta di condensare l'immensa complessità del romanzo, rende il film a tratti inguardabile se non per puro spirito filologico.
Dune è anche la tragica rappresentazione delle conseguenze di una produzione che non riesce a tenere assieme i diversi comparti di realizzazione.
Al totale disastro del montaggio e della narrazione si contrappongo infatti degli effetti visivi e speciali di sicura suggestione (per quanto, visti con gli occhi di oggi, al limite del ridicolo) e, nel caso della realizzazione dei vermi della sabbia, addirittura all'avanguardia. Le creature meccaniche sono peraltro opera di Carlo Rambaldi, tre volte premio Oscar noto per classici di genere quali Profondo Rosso (1975) di Dario Argento e E.T. – L'extraterrestre (1982). Anche la suggestiva colonna sonora, perfettamente in bilico fra le sonorità dell'epoca e quelle fantascientifiche, è affidata a due nomi non secondari della scena rock ed elettronica internazionale: i Toto e Brian Eno. L'unica candidatura agli Oscar del film, peraltro, fu proprio per il sonoro.
Di particolare impatto risulta anche la fotografia di Freddie Francis, due volte premio Oscar che già aveva collaborato con Lynch per il precedente The Elephant Man (1980). La regia di Lynch appare stavolta confusa in più punti: Dune è sicuramente il film più atipico della sua carriera e la mano d'autore si nota soprattutto nelle scene oniriche e meno epiche, confermando la poca dimestichezza del regista con le grandi produzioni. Il cast infine appare sicuramente più curioso che riuscito, fra scelte adeguate soprattutto nei ruoli minori (Silvana Mangano, Max von Sydow), curiose trovate che ne avrebbero potuto fare un film cult (Sting) e scritturazioni assolutamente fuori luogo. Prima fra tutte, purtroppo, è quella che vede l'ottimo Kyle MacLachlan in una parte totalmente inadeguata: l'unico aspetto positivo della sua presenza nel film è l'aver sancito l'inizio di una fortunata collaborazione con Lynch, culminata nella terza stagione di Twin Peaks (2017).
In definitiva, Dune è un'opera che riesce a disperdere tutti i presupposti positivi di partenza e a nascondere i suoi pregi in un caotico groviglio di errori strategici. Diventato con il tempo un cult anche in virtù delle sue stranezze e degli aneddoti legati alla disastrosa produzione, è un film che richiede allo spettatore una buona dose di pazienza e, involontariamente, senso dell'umorismo.
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