Dopo un grave lutto, il giovane Fabietto Schisa deve affrontare la vita da solo, con grandi incertezze sul suo futuro.
Dopo un grave lutto, il giovane Fabietto Schisa deve affrontare la vita da solo, con grandi incertezze sul suo futuro.
A vent'anni dal primo film L'uomo in più, Paolo Sorrentino (La grande bellezza, 2013; Il divo, 2008) presenta al pubblico il suo film più personale e autobiografico, ben ancorato alle radici del regista ma capace di guardare al futuro.
La prima parte della narrazione si distende sui toni della commedia in cui dell'Italia c'è tanto: le infinite e bandite tavolate, i bicchieri con il vino, il dialetto, Fellini e il calcio. Non si tratta però di un'Italia qualsiasi e di una squadra di calcio comune, ma bensì del Napoli di Maradona, personaggio che senza farsi mai effettivamente vedere accompagna il giovane protagonista nella sua crescita, tra gioie e dolore.
Il secondo atto rappresenta la rottura della commedia e tutta l'armoniosa e spensierata italianità si trasforma in una realtà meno benevola e più cruda: la bella zia Patrizia che dal prendere il sole nuda su una barca finisce in un ospedale psichiatrico, la tragica morte di entrambi i genitori di Fabietto, l'incertezza, il futuro, la Napoli criminale.
La regia di Sorrentino si adatta perfettamente sia ai toni della commedia che a quelli della tragedia, prendendosi il suo tempo sui volti di tutti i suoi protagonisti per poi, nella seconda parte, soffermarsi sull'esile figura di Fabietto persa nella grandezza e bellezza di Napoli.
I movimenti di macchina morbidi e puliti che ci regalano dei bellissimi long take riescono a far risaltare anche la scenografia e a svecchiare quello stile esageratamente antiquato della regia "all'italiana".
La ricchezza visiva e allegorica si disperde a tratti nella sceneggiatura, non sempre inquadrata e coerente. La nota autobiografica, come già sottolineata, è forte e al di là del valore indubbiamente emozionale, non riesce a conferire un giusto allineamento dei personaggi secondari, dando una luce quasi esclusiva sull'interpretazione di Filippo Scotti. L'intreccio tra il neorealismo e la teatralità confonde ulteriormente le intenzioni della sceneggiatura e paradossalmente, il cinema, che è la risoluzione ultima nella vita di Fabietto è rappresentato senza toni entusiastici (al di là di qualche bel riferimento a Fellini, Capuano e C'era una volta in America).
Ad arricchire il reparto visivo c'è l'audio, finalmente, in una pellicola italiana, di alto livello, con un'ottima spazializzazione sonora in cui il rimissaggio in quadrofonia di Pino Daniele alla fine ci regala un finale commovente e bellissimo, in cui Fabietto finalmente trova la sua strada e parte, ma portandosi Napoli, le sue radice, con sè e successivamente nella sua arte. Ed è proprio con la sua arte che Sorrentino sembra concludere una parte della sua narrazione personale, come a dirci che presentando questo film ha finalmente chiuso un cerchio e affrontato il grande trauma del lutto.
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