Un tranquillo docente di storia scopre l'esistenza di un proprio sosia, attore. Inizierà a esserne ossessionato e a dubitare della propria vita.
Un tranquillo docente di storia scopre l'esistenza di un proprio sosia, attore. Inizierà a esserne ossessionato e a dubitare della propria vita.
Tratto dal romanzo L'uomo duplicato del premio Nobel José Saramago, Enemy consacra Denis Villeneuve quale regista marcatamente autoriale e capace di portare sullo schermo storie dense di interpretazioni, riferimenti e riflessioni, pur senza inficiare gli elementi effettivi del genere di appartenenza. Se con i successivi Arrival (2016) e Blade Runner 2049 (2017) avrebbe dato un contributo essenziale al nuovo cinema di fantascienza, i suoi inizi sono nel thriller: già Polytechnique, con il suo taglio lirico e la presenza di più prospettive, era atipico nel proprio genere.
Enemy, a differenza di quest'ultimo, ha una fonte letteraria di qualità elevata: Saramago, autore politicamente impegnato (non senza controversie) e attento a rappresentare le nevrosi e lo smarrimento dell'individuo nel tardo capitalismo, ricorre a un soggetto che ha, come suo solito, uno spunto di partenza ai limiti del possibile. Da lì in poi, la trama si sviluppa nel più crudo contrasto fra l'elemento fuori-posto e il mondo contemporaneo, tanto figlio della programmazione più razionale e alienante, quanto impossibilitato a scacciare (anzi, quasi disposto ad accogliere) l'elemento irrazionale. Di tutto questo, e delle tematiche che ne seguono, fra cui quella classica del doppelganger, del potere dei media e della vita medio-borghese, Villeneuve offre una resa fedele nei toni ed efficace.
La sceneggiatura di Javier Gullón (Out of the dark, 2014; Aftermath – La vendetta, 2017) è complessa, pregna di rimandi e simbolismi (es. i ragni) che richiederebbero una visione attenta. Eppure, anche lo spettatore più superficiale non può non essere pervaso dal senso di inquietudine e ambiguità che pervade ogni dialogo, ogni momento del film. Elemento ricorrente dello storytelling è quello dei ragni, che stanno a indicare la ragnatela, mentale e concreta, dell'individuo di fronte alle proprie aspirazioni, ai propri rapporti, alle costruzioni che lo censurano.
La sceneggiatura speculare, fatta di ruoli che si ripetono (mogli/fidanzate/madri), spazialità contrastanti (il club sotterraneo/i grattacieli) e riflessioni meta-narrative (non è un caso che il sosia sia un attore di cinema, emblema del desiderio fantasmatico e irrealizzabile ma anche regno della finzione per eccellenza), viene nobilitata da una regia eccellente.
Villeneuve sa utilizzare allo stesso tempo la linearità dei thriller ad alta tensione e l'originalità di inquadrature dei film espressionisti, il rimando più evidente ai quali è proprio l'incombere degli edifici ripresi in contro-plongée.
Una menzione d'onore va anche alla fotografia di Nicolas Bolduc (Aloft, 2014; Two lovers and a bear, 2016) e al suo riconoscibile effetto seppiato che esprime ora il mistero aleggiante attorno alla situazione del protagonista, ora il grigiore della sua vita quotidiana da every-man. L'utilizzo dei chiaroscuri e delle luci di ambiente urbano, che filtrano appena attraverso le persiane semichiuse degli appartamenti, come da tradizione noir, riflette l'ambiguità e i punti d'ombra nella psiche dei personaggi. Sempre adatte, invece, ma meno incisive le musiche di Danny Bensi e Sander Jourriaans, in coppia anche per Regali da uno sconosciuto – The gift (2015) e Boy Erased – Vite cancellate (2018): se regia e fotografia infatti sono al di sopra della media, la colonna sonora si limita a seguire fedelmente gli stilemi della thriller soundtrack, sapendo sottolineare i momenti di tensione ma evitando di sperimentare troppo.
A rendere ottimo il film, inoltre, sono le interpretazioni dell'intero cast. In cui, ovviamente, spicca Gyllenhaal in un duplice ruolo tanto complesso quanto pienamente reso: le differenze caratteriali fra i due sosia sono trasmesse dall'attore con realismo e chiarezza, permettendo così di giocare ancora di più sul tema del doppio, dei conflitti interiori irrisolti e dell'ambiguità. Quello che ai tempi di Donnie Darko (2001) era una giovane promessa già alle prese con un ruolo di estrema intensità e complessità, arriva qui ad una maturazione che gli avrebbe consentito di prendere parte a narrazioni ancora più ardue, fra cui quella del protagonista di Animali notturni (2016).
In definitiva Enemy, sulla scia degli psico-thriller di un maestro del genere quale Alfred Hitchcock (La finestra sul cortile, 1954; Psyco, 1960), ma anche forte del proprio mentore letterario Saramago, conferma Villeneuve fra i migliori autori contemporanei e regala al pubblico un'esperienza di grande portata riflessiva, ma allo stesso tempo emotivamente coinvolgente.
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