Il nipote del celebre dottor Frankenstein tenta di ricreare l'esperimento che rese famoso il nonno: dare vita a un mostro. Gli effetti saranno imprevisti e paradossali.
Il nipote del celebre dottor Frankenstein tenta di ricreare l'esperimento che rese famoso il nonno: dare vita a un mostro. Gli effetti saranno imprevisti e paradossali.
L'horror e il comico hanno sempre avuto più di un aspetto in comune. Entrambi i generi si basano sulla distorsione verso l'assurdo della realtà, producendo sensazioni di sorpresa e straniamento nello spettatore; in entrambi sono presenti mostri, intesi come personaggi fuori dal comune (in latino monstrum si traduce come ‘prodigio'). Soprattutto, la critica è a lungo stata refrattaria a considerarli cinema d'autore, per la frequente immediatezza sia della realizzazione che degli effetti ricercati sul pubblico.
Frankenstein Junior, nel 1974, è la pellicola capostipite di tante parodie, più o meno fortunate, il cui filone arriva fino alla fine degli anni 2000 con la saga di Scary movie, dall'umorismo del tutto differente.
Il regista, nonché sceneggiatore assieme all'attore protagonista Gene Wilder, Mel Brooks è un profondo conoscitore della storia del cinema, tanto da fare della parodia il proprio genere prediletto. Si sarebbe confrontato nel 1977 con Alfred Hitchcock in Alta tensione, nel 1986 con George Lucas in Balle spaziali, per poi tornare all'horror con Dracula morto è contento nel 1995. Frankenstein Junior, assieme al coevo Mezzogiorno e mezzo di fuoco, è il film che gli ha valso il maggior successo di critica e di pubblico. Il primo dei motivi è senza dubbio proprio la sceneggiatura, che riprende in chiave comica le situazioni e i personaggi del romanzo gotico di Mary Shelley (1818) e dei numerosi adattamenti cinematografici successivi. Con il gusto dell'umorismo yiddish per la battuta e il paradosso logico, Brooks e Wilder inventano una serie di situazioni linguistiche entrate ormai a far parte della parlata comune: la storpiatura dei nomi in “Frankenstin” e “Aigor”, il termine in tedesco maccheronico Schwanstucker per indicare l'organo riproduttivo e la battuta proverbiale «Potrebbe andare peggio: potrebbe piovere» sono solo alcuni esempi.
Un plauso, almeno da parte dello spettatore italiano, andrebbe inoltre al doppiaggio: se infatti il gioco di parole su Frau Blücher (“moglie del macellaio di cavalli”, alla cui nomina segue costantemente un nitrito di spavento) risulta intraducibile, la battuta «Lupo ululì, castello ululà», presente solo in italiano, e la voce di Oreste Lionello hanno contribuito al successo del film nel nostro paese.
La storia è quindi narrata per sketch comici, episodi da vaudeville e citazioni letterarie: per quanto geniali, a risentirne in più punti tuttavia è la compattezza complessiva della narrazione e il ritmo delle sezioni di raccordo fra un climax comico e l'altro. Alcuni espedienti umoristici, d'altronde, per quanto ancora gustosi potrebbero ormai risultate datati.
La regia, per quanto semplice (e caratterizzata da un montaggio ripetitivo e fastidioso nelle transizioni), conferma la conoscenza enciclopedica, in fatto di cinema, di Brooks: anche per merito della fotografia in bianco e nero di Gerald Hirschfeld (A prova di errore, 1984; Essere o non essere, 1983),
le atmosfere gotiche ed espressioniste e i voluti riferimenti all'ingenuità dei primi film horror del secolo, più che riuscite ed efficaci, sono un vero falso d'autore. Nuovamente, a scapito della qualità puramente filmica.
Fra le interpretazioni, oltre a Gene Wilder perfetto nella parte dello scienziato imbranato e nevrotico, spicca il grande caratterista Marty Feldman nel suo ruolo più iconico: i suoi ammiccamenti al pubblico, sfondando la quarta parete, e i suoi commenti fuori luogo sono fra gli elementi comici di maggior efficacia del film. Gli altri attori secondari, parodiando la rigidità vittoriana dei riferimenti originali, risultano ottime spalle comiche ai protagonisti.
In generale il film paga due prezzi altissimi. Quello della sceneggiatura discontinua è quello della forzatura parodica, che ne pregiudicano la qualità.
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