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Federico Fellini

Giulietta degli spiriti | Recensione | Unpolitical Reviews

Trailer non disponibile

Scheda:

poster di Giulietta degli spiriti
Titolo Originale:
Giulietta degli spiriti
Regia:
Federico Fellini
Uscita:
16 ottobre 1965
(prima: 22/10/1965)
Lingua Originale:
it
Durata:
148 minuti
Genere:
Commedia
Dramma
Fantasy
Soggetto:
Federico Fellini
Tullio Pinelli
Sceneggiatura:
Federico Fellini
Tullio Pinelli
Ennio Flaiano
Brunello Rondi
Fotografia:
Gianni Di Venanzo
Montaggio:
Ruggero Mastroianni
Scenografia:
Vito Anzalone
Musica:
Nino Rota
Produzione:
Angelo Rizzoli
Produzione Esecutiva:
Casa di Produzione:
Francoriz Production
Rizzoli Film
Cineriz
Budget:
$0
Botteghino:
$78 mila
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Redazione

7.5

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Giulietta Boldrini
Giulietta Masina
Suzy / Iris / Fanny
Sandra Milo
Giorgio (Giulietta's husband)
Mario Pisu
Valentina
Valentina Cortese
Pijma
Valeska Gert
Giorgio's friend
José Luis de Vilallonga
Medium
Friedrich von Ledebur
Giulietta's mother
Caterina Boratto
Grandfather
Lou Gilbert
Adele
Luisa Della Noce
Dolores
Silvana Jachino
Elisabetta - the maid
Milena Vukotić
Desperate friend
Dany París
Psychodramatist
Anne Francine
Sylva
Sylva Koscina
Elena
Elena Fondra
Susy's Guest
Anita Sanders
TV Actress
Mary Arden
Friend of Giorgio
Cesarino Miceli Picardi
Corpse at Suzy's party
Robert Wolders

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Una donna dell'alta borghesia romana, timida e sognatrice, deve fare i conti con un terribile sospetto.

Recensione:

Primo lungometraggio a colori per Federico Fellini, Giulietta degli spiriti è, per tematiche e stile, una sorta di riedizione in chiave kammerspiel del precedente (1963). Al centro del dramma, la contraddizione insondabile fra verità e menzogna, fantasia e realtà. La protagonista, come ne Lo sceicco bianco (1952), si trova a fronteggiare un tensione fra la propria costringente situazione matrimoniale e il dominio della propria immaginazione: qui però l'escapismo assume toni minacciosi e inquietanti, così come negativo è il desiderio estremo di sondare la realtà dei fatti (rappresentata dallo sguardo del detective, contraltare simbolico della stessa macchina da presa). Interessante poi l'emergere anche della tematica di colpevolezza religiosa, esplicata nella magnifica sequenza della recita con le suore, e della liberazione dalle barriere mentali rese nel personaggio del nonno. Altri elementi ricorrenti in Fellini, e qui rintracciabili, sono i luoghi simbolici del circo e del mare, soglia di riflessione e cambiamento, che compare, oltre che nei film citati, anche ne La strada (1954) e ne La dolce vita (1960).

Il pregio maggiore del film risiede nell'utilizzo, per Fellini quasi inedito e fortemente espressivo, del colore. La fotografia di Gianni di Venanzo (I soliti ignoti, 1958; La notte, 1961) utilizza una palette cromatica completa e piena di colori saturi, combinati con la qualità della pellicola, volti ora a sottolineare l'atmosfera delle sequenze oniriche, ora la luce torrida ed estiva delle località balneari laziali. Di grande efficacia sono poi alcuni giochi di luci ed ombre, che tendono ora a nascondere, ora ad evidenziare le espressioni dei personaggi in scena. Ad esserne nobilitati sono però soprattutto i costumi di Piero Gherardi, già collaboratore del regista e due volte premio Oscar: giocando fra il barocco della nobiltà decadente romana, l'esotismo dei mistici orientali e la freddezza dell'agenzia di detective, è la prima volta in Fellini che si assiste a una così felice combinazione di immagini. Complici, sempre di Gherardi con Giantito Burchiellaro (Il mostro, 1994) e Luciano Ricceri (La terrazza, 1980), anche le scenografie: è quasi leggendaria la mania di Fellini per le ricostruzioni nei teatri di posa di Cinecittà.


Il suo cinema è teatrale, illusionistico come la sua stessa narrazione: nella mente della protagonista si affastellano spettri e ricordi dell'infanzia così come agli occhi dello spettatore si alternano quinte da palcoscenico e scenari architettonici di sempre rinnovata inventiva.


La regia di Fellini, sempre più personale e distintiva, sa muoversi attraverso gli ambienti dell'immaginazione con grazia ed espressività. Tratti riconoscibili, nonché prova di perizia tecnica, sono i giochi con gli specchi in determinate scene e la direzione degli attori in veri e propri caroselli, accompagnati dalla sempre perfetta e sognante colonna sonora di Nino Rota. Laddove tuttavia in film perde in mordente, è proprio nella sceneggiatura dello stesso autore e dei ricorrenti collaboratori Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi: la frammentazione tesa a seguire il filo mentale del protagonista, se altrove rappresenta l'essenza del cinema di Fellini, qui appare eccessivamente spinta alla rarefazione, quando non ad una confusione vera e propria. Si potrebbero ipotizzare vari motivi di tale scarto qualitativo: forse Fellini si trova più a suo agio nel trasferire i propri pensieri in un alter-ego maschile quale Mastroianni, oppure la struttura a diario di impressioni mal si adatta al dramma di ambientazione borghese. Sta di fatto che Giulietta degli spiriti, a livello di scrittura, ripete spunti già espressi, senza aggiungere nulla di nuovo e senza migliorarne l'efficacia espressiva. I momenti narrativamente più felici, dove peraltro la connessione fra immagine, parola e situazione raggiunge il proprio apice, sono proprio le sequenze oniriche e simboliche: che, stavolta, risultano davvero isolate e disperse in una trama debole e poco efficace.

Già il critico Morando Morandini, all'uscita del film, lo descrisse come un'opera da sfogliare come un album di immagini, più che un lavoro cinematografico vero e proprio. Se dal punto di vista della messa in scena Fellini fa un passo avanti nella propria maturazione, la storia sembra essere più trascurata. Manca pure, apparentemente, quella capacità di empatia con i personaggi che caratterizza generalmente la produzione del maestro riminese: la protagonista, interpretata da una Giulietta Masina adatta al ruolo ma in difficoltà con un personaggio forse poco sentito dal regista stesso, manca di quella complicità con l'autore che, nel gioco di ammiccamenti fra realtà e finzione tipico di Fellini, trovava massima espressione. Non la migliore prova d'autore dunque: tuttavia, uno studio interessante per la riproposizione di tematiche note in chiave inedita.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 29 febbraio 2020.

Pro:

  • Scenografie, costumi e fotografia perfetti nel bilanciamento fra teatralità e stile barocco.
  • Regia tecnicamente ottima e adatta nella direzione degli attori.
  • Colonna sonora al passo con i caroselli di personaggi.

Contro:

  • Sceneggiatura incerta che alterna ottime sequenze, scollegate fra loro, a una frammentarietà poco mordente.
  • Riproposizione di tematiche meglio espresse altrove nella filmografia di Fellini.

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