Nel West di fine 800 due ex-criminali ormai anziani e un giovane ambizioso si scontrano con uno spietato sceriffo nel tentativo di vendicare una prostituta sfregiata da un delinquente.
Nel West di fine 800 due ex-criminali ormai anziani e un giovane ambizioso si scontrano con uno spietato sceriffo nel tentativo di vendicare una prostituta sfregiata da un delinquente.
Gli spietati è un grande omaggio al western. Da un lato, infatti, si inserisce alla fine del fortunato filone di rivisitazione critica del genere, che ha trovato il proprio capostipite ne Il mucchio selvaggio (1969) e il proprio apice in Balla coi lupi (1990). Dall'altro vuole esplicitamente omaggiare i primi autori che, abbandonando le storie tutte indiani e buoni valori americani, si sono concentrati su ciò che il western può davvero consentire: storie di uomini al limite della moralità che si trovano a fare i conti con se stessi in un contesto estremo.
Un'affezione propria di Clint Eastwood (Million Dollar Baby, 2004; Gran Torino, 2008), che dedica il film ai suoi “padrini” Sergio Leone e Don Siegel e propone il suo primo personaggio, quello del pistolero spietato ma solido nei principi, a distanza di decenni e colto dagli acciacchi della vecchiaia.
Questo è sicuramente il pregio maggiore del film: un dialogo sincero e commosso con una grande epopea cinematografica e personale che, sembra dirci Eastwood, è destinata a non morire mai.
Il soggetto di David Webb Peoples (Blade Runner, 1982; L'esercito delle dodici scimmie, 1995), come si è detto, è ciò che ha reso il film apprezzato. Non un'idea nuova, perché tematiche quali l'amicizia virile, la giustizia personale, il passato controverso , la violenza nel mondo sono tipiche, ma lo scopo è esattamente riproporle alla fine del millennio.
Dove invece la scrittura di Peoples perde colpi, è la sceneggiatura: la profondità dei personaggi è troppo poco esplorata. Più agenti narrativi che veri e propri individui, questi hanno un passato appena accennato e agiscono spesso in modo confuso: non si spiega, se non con la troppo debole scusa dell'ambizione o del denaro, il movente iniziale di Kid, così come Dalilah sembra essere presente giusto per essere sfregiata all'inizio e per fornire il pretesto di mostrare quanto Manny sia corretto verso la moglie defunta. Bob l'inglese, allo stesso modo, esiste in funzione dello sceriffo e non ha un suo sviluppo. Peccato, perché sembra che il film, in questo caso, più che omaggiare i classici del nuovo western sembri volersi adagiare su di essi. Ci sono tante storie personali che avrebbero meritato più dignità, e mezz'ora in più per un film del genere notoriamente più dilatato nei tempi sarebbe stata più azzeccata che lasciare troppi punti in sospeso.
La regia di Eastwood è solida, anche se non presenta particolari picchi di spettacolarità. Davvero eccessivo l'Oscar, che in tal caso sembra più assegnato alle intenzioni che al risultato. Così le interpretazioni del pur ottimo cast, fra cui però si distingue il premio Oscar Gene Hackman nei panni dello spietato sceriffo. Fa sinceramente sorridere l'ironia di Clint Eastwood che finge di non sapere più montare a cavallo: peccato che sul finale ritorni il solito Eastwood giustiziere e invincibile di sempre.
Le musiche dello stesso Clint, del figlio Kyle e del collega seriale Lennie Niehaus, invece, sono davvero deludenti: il western, soprattutto quello di Leone con Ennio Morricone, è stato un pioniere quanto a sperimentazione sonora e ambientale. Che il profilo basso della colonna sonora sia voluto o meno, dato il già citato tono crepuscolare, non toglie la mancanza avvertita.
In sintesi, il sopravvalutato (quattro Oscar, fra cui miglior film) Gli spietati non è un capolavoro in sé e molto spesso non risponde alle aspettative, ma inserito in un percorso di genere resta comunque significativo e apprezzabile.
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