La morte di un'anziana signora darà vita a una serie di tragici eventi che si abbatteranno sui suoi discendenti, alle prese con difficili elaborazioni del lutto e pericolose evocazioni esoteriche.
La morte di un'anziana signora darà vita a una serie di tragici eventi che si abbatteranno sui suoi discendenti, alle prese con difficili elaborazioni del lutto e pericolose evocazioni esoteriche.
Pellicola d'esordio di Ari Aster, regista dell'orrore giunto alla ribalta anche per il suo più recente Midsommar – Il villaggio dei dannati (2019), di cui Hereditary – Le radici del male anticipa alcune caratteristiche, sia tecniche che tematiche. Oltre ad essere contraddistinti da una regia virtuosa e audace infatti, entrambi i film si aprono con un lutto e ne affrontano la difficile elaborazione. A differenza di quanto avviene in Midsommar però, in Hereditary la prima perdita si limita a spezzare un precario equilibrio familiare; sarà solo la seconda ad avere conseguenze dai risvolti tragici e orrorifici. L'aggettivo tragico non è casuale ed è in questo caso da intendersi nel senso strettamente letterale del termine: in una dimenticabile ma rivelatrice scena del film, infatti, un professore parla alla classe del mito di Eracle (che accecato dalla follia assassinò la sua famiglia) e chiede espressamente ai suoi studenti cosa sia più tragico, se un destino predeterminato che non lascia spazio al libero arbitrio dei protagonisti, oppure il fatto che essi prendano in autonomia decisioni continuamente sbagliate, dal triste epilogo. Ebbene, al termine del film, lo spettatore sarà chiamato a rispondere a questa domanda, attorno alla quale ruota l'intera pellicola. In altri termini, i drammatici eventi che si abbattono sulla famiglia Graham sono frutto di un Fato ineluttabile o delle imprudenti azioni di Annie, previste e messe in moto dalla sardonica signora Ellen?
Oltre alla chiave di lettura tragica, in Hereditary emerge un'altra componente preponderante, di stampo chiaramente freudiano. Ari Aster sembra infatti attingere dalla psicoanalisi il concetto del perturbante (Unheimliche), già magistralmente portato sul grande schermo da Alfred Hitchcock in Psyco (1960) e Gli Uccelli (1963). Nel film in questione, infatti, il regista trasforma la casa, simbolo per eccellenza di sicurezza e protezione, in un luogo di manifestazione del demonio, destabilizzando lo spettatore. Che la casa della famiglia Graham non sia come tutte le altre lo capiamo sin dalla prima scena, dove il plastico della stanza di Peter prende vita con disturbante naturalezza. Interessante a tal proposito come il regista sfrutti il modellismo di Annie, intrecciandolo magistralmente agli eventi e richiamandolo in virtuose inquadrature (su tutte quella del funerale di Charlie, in cui la telecamera segue i movimenti della bara dando l'idea di una vera e propria catabasi).
Oltre all'ottima regia, che brilla per il rapporto tra campo e fuoricampo e per le accurate scelte dei punti macchina, risultano di buon livello anche la fotografia – capace di alternare bene luci diurne a quelle notturne – e il sonoro, che mediante il ricorso a musiche tetre e a suoni sinistri riesce ad incutere la giusta inquietudine.
A non entusiasmare sono invece gli effetti speciali (che nel complesso risultano comunque sufficienti) e una sceneggiatura che, seppur estremamente funzionale al messaggio di fondo, nel finale sembra perdere di credibilità, risultando eccessivamente metaforica e prendendo le distanze dall'inquietante realismo che pervade tutta la pellicola. La struttura narrativa, infatti, non segue la canonica climax dei film dell'orrore, dove eventi destabilizzanti accadono principalmente nel finale. In Hereditary le tragedie giungono all'improvviso, smorzando l'inerzia della storia e contribuendo al perturbante di cui si è detto in precedenza (basti pensare alla decapitazione di Charlie, avvenuta al ritorno di una normalissima festa o alla possessione di Peter, verificatasi a scuola, in pieno giorno e davanti a tutti). Ad incrementare il realismo di fondo è senz'altro anche l'ottima interpretazione del cast, su cui spicca l'eccezionale Toni Collette. L'attrice riesce ad incarnare alla perfezione il personaggio di Annie, mettendo in luce sia i suoi disturbi che la sua disperazione e risultando drammaticamente credibile.
In conclusione, Hereditary è un'ottima pellicola dell'orrore, che inaugura la promettente filmografia di Ari Aster ed entra a pieno titolo nella new wave del genere horror, sempre più spesso distante dai miseri jumpscare e maggiormente concentrato sull'incutere allo spettatore un'inquietudine immanente, in grado di andare oltre la semplice durata della proiezione.
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