Un uomo qualsiasi si trova prigioniero di una struttura a livelli, in cui conta solo sfamarsi per sopravvivere.
Un uomo qualsiasi si trova prigioniero di una struttura a livelli, in cui conta solo sfamarsi per sopravvivere.
Presentato e premiato al Toronto Film Festival 2019 e successivamente acquistato da Netflix per la distribuzione, Il buco potrebbe essere la prova tangibile del vizio del colosso dello streaming di accostare, nel proprio catalogo, film di qualità (i coevi Storia di un matrimonio e The irishman, anche prodotti) e prodotti infimi, senza discrimine. Il buco, infatti, è una sequela di spunti interessanti gestiti malamente, una collezione di buone occasioni sprecate già a partire dal trattamento del soggetto: per restare in territorio Netflix, ci sono singole puntate della serie televisiva Black Mirror capaci di superarlo quanto ad estetica, scrittura, capacità narrativa.
Il soggetto di David Desola (Cinque tequila, 2014) è estremamente intrigante. Il che non coincide certo con l'originalità, visto che l'idea di partenza è molto simile, quando non la medesima, di Cube – Il cubo (1997) di Vincenzo Natali o del cortometraggio Next floor (2012) di Denis Villeneuve. L'ispirazione, per quanto simile all'originale, è operazione più che legittima: il peccato è che gli sforzi degli sceneggiatori sembrano fermarsi, appunto, all'idea di riprendere un filone già sviluppato. Gli elementi del racconto kafkiano ci sono tutti: le dinamiche survival, le metafore sociali e religiose, la non comunicabilità con una burocrazia invisibile, il senso di condanna ineluttabile e l'allucinazione. Purtroppo, ne Il buco, c'è veramente troppo: la similitudine fra il protagonista e Gesù Cristo, i riferimenti biblici, l'inferno dantesco, l'idealismo di don Chisciotte, la critica al capitalismo, la lotta di classe, le metafore animalesche e culinarie e addirittura le allucinazioni erotiche. Il tutto si risolve in una morale scontata, cui non bastano alcuni elementi da videogioco in stile escape room per risollevarsi.
Ad affossare la qualità di un soggetto di per sé portato a perdersi, occorre una sceneggiatura pessima, a cura di Desola e di Pedro Rivero (Birdboy, 2011). La quale si limita ad accatastare senza soluzione di continuità gli elementi sopraccitati, quasi nella speranza che lo spettatore, rassegnato a non potersi spiegare il perché di quanto vede, se ne lasci semplicemente trascinare (o confondere).
Il problema è proprio che Il buco non si può permettere il lusso di certe metafore distopiche, che rinunciano alla logica e alla chiarezza: per comprenderlo basta osservare i due film che lo hanno ispirato.
Cube, così come Il buco, non intende fornire spiegazioni: tuttavia, nel suo smascherarsi in quanto pura ipotesi di finzione, evita facili metafore e mantiene un ritmo tensionale assente nell'altro. Next floor, invece, ha una qualità in più che al film in questione manca del tutto: l'umorismo, per quanto surreale e satirico, che riesce a giustificare qualsiasi eventuale ermetismo della trama. Se l'intento della sceneggiatura in generale è quindi parzialmente fallito, lo sono del tutto gli elementi interni: una scansione affastellata degli eventi, che passa dalla lentezza assoluta alla rapidità, unita a dialoghi demenziali, personaggi poco empatici (escluso il vecchio, almeno sufficientemente grottesco da divertire gli spettatori sadici), e a parabole narrative lasciate in sospeso. Il delitto maggiore, dal punto di vista della scrittura, è l'insensato finale aperto: presente anche in Cube, che però almeno chiudeva la parabola del protagonista. Unico pregio dello storytelling, forse, il ritmo narrativo che, complice anche la durata limitata del film, riesce, pur senza grosse sorprese, a non risultare eccessivamente noioso.
Quanto al comparto tecnico e visivo, per quanto artigianale, il risultato appare meno drammatico. La regia di Galder Gaztelu-Urrutia (Las horas muertas, 2007) ha forse il solo difetto evidente di indugiare troppo su certi particolari scabrosi, quasi a voler giustificare l'assenza di mordente della trama stessa. Tuttavia alcune riprese in primissimo piano sono efficaci ai fini della caratterizzazione del personaggio e al tono del film. La fotografia di Jon D. Domínguez, senza essere eclatante, risponde bene al senso di oppressione e oscurità della location, mantenendosi su toni spenti e scale di grigi; nelle scene più allucinatorie, quali quelle (insensate) di sogno erotico, il filtro rosso invece conferisce un senso di amatoriale alquanto imbarazzante. Insufficiente, invece, il montaggio di Haritz Zubillaga ed Elena Ruiz. La scenografia di Azegiñe Urigoitia dovrebbe essere l'elemento su cui si basa l'intera riuscita del film, in quanto estremamente funzionale al racconto. Vi si riversano però gli stessi difetti notati per la scrittura. Gli ambienti e l'architettura della Fossa sono studiati per essere respingenti, oppressivi e possibilmente pregni di significati simbolici (le classi sociali, i gironi infernali): risultano, tuttavia, abbastanza dimenticabili. Il fatto che le meccaniche della piattaforma non vengano mostrate non rappresenterebbero di per sé un problema: è però una concessione che, viste le pecche sopra elencate, difficilmente si riesce a fare.
Come senza anima risultano gli ambienti, così anche la colonna sonora. È molto efficace, in realtà, il tema a percussioni martellanti composto da Aranzazu Calleja: peccato sia l'unico in un'ora e mezza di film. Next floor, in dodici minuti, ha una colonna sonora più varia, soprassedendo sulla presenza ulteriore di maggiori tecniche registiche, fotografiche, invenzioni ambientali e scenografiche.
In definitiva, Il buco è un film dai buoni propositi ma pretenzioso, incapace di reggere con modelli e simili ben più riusciti, talmente allegorico da risultare in più di un momento ridicolo e narrativamente sconclusionato. Il vero buco notevole, ma nell'acqua, è però del distributore Netflix che ha deciso di accostare il film alle altre proprie decine di prodotti distopici per il grande pubblico: condannandolo, così, a essere confuso fra gli episodi meno riusciti di Black mirror, o a essere scambiato per un remake horror de La casa di carta.
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