Nella Londra del Secondo dopoguerra, un affermato stilista alla costante ricerca della perfezione incontra una giovane donna che proverà a scombussolare la sua maniacale routine.
Nella Londra del Secondo dopoguerra, un affermato stilista alla costante ricerca della perfezione incontra una giovane donna che proverà a scombussolare la sua maniacale routine.
Sontuosa pellicola firmata Paul Thomas Anderson (Il Petroliere, 2007), che dirige il suo film più maturo, in cui il barocchismo cede il posto a un controllo di regia e di scrittura maggiore e più compatto. La macchina da presa non compie particolari virtuosismi, ma con semplici movimenti riesce a valorizzare l'ampiezza e la classe di ambienti che, solo a causa dell'ambiguità dei personaggi risulteranno a tratti quasi claustrofobici.
Emerge in tal senso un sublime contrasto tra l'eleganza della messa in scena e la complessità della psiche dei protagonisti: dapprima solo quella di Reynolds, per via delle sue maniacali abitudini e della sua necessità di controllo su tutto ciò che lo circonda, ma nel finale anche quella di Alma, che ricorre a un espediente quantomeno singolare (seppur cinematograficamente geniale) per dare il giusto equilibrio al complesso rapporto di coppia.
Quando si parla de Il Filo Nascosto non si può non pensare alla raffinatezza degli abiti (non è un caso che il film si sia aggiudicato l'Oscar 2018 per i migliori costumi) e al fascino della scenografia, che anche solo mediante il ricorso a un determinato tipo di arredamento o di corredi, immerge lo spettatore nelle ricche abitazioni della Londra del Secondo dopoguerra. La magnificenza dei costumi e quella scenografica sono peraltro entrambe valorizzate da una splendida fotografia, che regala immagini a tratti quasi pittoriche.
Meravigliose anche le musiche, affidate a Jonny Greenwood (chitarrista solista dei Radiohead) e realizzate dalla London Symphony Orchestra. Queste, che ad un orecchio poco esperto potrebbero sembrare una mera esecuzione classica, risultano in realtà una perfetta miscela di sonorità e correnti musicali: si passa dal classicismo barocco, utilizzato nei momenti di maggior spessore, in cui Reynolds manifesta i suoi turbamenti psichici, al classicismo impressionista impiegato nelle scene più romantiche e leggere, fino ad arrivare alle cadenze jazz, usate per gli ambienti pubblici, passando addirittura per armonie pop.
L'eleganza delle componenti tecniche ed estetiche trova inoltre riscontro anche nella sceneggiatura, shakespearianamente drammatica e densa di contenuti (quali la perversione del controllo o l'ambiguità dell'amore inteso come alternanza del rapporto vittima-carnefice), oltre che nella strepitosa interpretazione di Daniel Day Lewis, alla sua ultima apparizione cinematografica. L'attore, sottilmente inquieto, con un impressionante controllo del corpo e dei muscoli facciali, dimostra di sapersi inserire a pieno in una scuola recitativa ormai in “disuso”, vale a dire quella dell'underacting di stampo pre-Actor studios.
Ecco allora come l'esplosione emotiva venga a manifestarsi più come sentore costantemente a fior di pelle, piuttosto che come mera eventualità; la resa dei conflitti che ne deriva risulta maggiormente efficace e riporta alle grandi interpretazioni del cinema classico statunitense.
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