Un giovane e insoddisfatto studente della borghesia americana intesse una relazione con una donna più anziana, per poi invaghirsi della figlia.
Un giovane e insoddisfatto studente della borghesia americana intesse una relazione con una donna più anziana, per poi invaghirsi della figlia.
Il laureato, significativamente, esce nelle sale nell'anno 1967: a buon diritto, pertanto, è indicato come film apripista sia della corrente cinematografia della New Hollywood, fatta di autori emergenti, rinuncia della narrativa classica e tematiche inedite, sia della stessa contestazione globale del Sessantotto, delle sue istanze e delle diverse declinazioni che questa ha avuto nell'immaginario, nella politica e nella musica. A tal proposito, iconiche sono senza dubbio le musiche di un duo che ha segnato la storia del folk-rock, incarnando aspettative e contraddizioni di un'intera generazione, quale Simon & Garfunkel. I loro brani, inseriti opportunamente all'interno della narrazione, contribuiscono alla riuscita del film in due direzioni diverse: da un lato, dimostrando come la musica pop e cantata possa essere tanto efficace quanto quella strumentale come colonna sonora (tendenza poi diventata caratteristica di tante produzioni filmiche indie a venire, fino alla recente serie televisiva The end of the fucking world, 2017, che de Il laureato riprende più di un elemento); dall'altro, intercettando il gusto di un pubblico che si apprestava a riconoscersi dichiaratamente in determinati valori di rottura con mondo precedente. In pratica, Il laureato, così come la sua colonna sonora, nasce per essere un manifesto generazionale: di questa intenzione, oggi, resta una potenza espressiva e documentaristica di indubbio fascino ed efficacia.
Ovviamente, altro elemento che ha reso il film un vero cult è la performance del giovane Dustin Hoffman: sebbene oggi possa far sorridere l'evidente e malcelata differenza d'età anagrafica fra attore e personaggio, la sua resa nervosa e irrequieta del protagonista ha permesso allo spettatore (ventenne) di allora di immedesimarvisi e riflettere su se stesso, e a chi guarda il film a distanza di decenni di rivivere emotivamente le istanze del periodo.
Da ricordare anche l'interpretazione di Anne Bancroft, ambigua, provocante e coraggiosa, così come coraggiosi sono molti elementi della sceneggiatura di Calder Willingham (Orizzonti di gloria, 1957; Piccolo grande uomo, 1970) e Buck Henry (Comma 22, 1970; Da morire, 1985).
Se infatti già il soggetto, dal romanzo omonimo di Charles Webb, affronta un tema chiaramente controverso e quasi impensabile da trasporre al cinema sotto il severo regime censorio del Codice Hays (decaduto proprio nel 1967), lo sviluppo dei dialoghi e delle situazioni si fa ora ironicamente malizioso, ora veemente e satirico: basti pensare ai futili discorsi dei genitori di Benjamin, alle battute fulminanti entrate nell'immaginario comune, all'insistenza sull'erotismo quale terreno di scontro generazionale e politico e al rovesciamento simbolico di luoghi e oggetti di scena (il crocefisso che da stendardo religioso diventa arma contundente). La sceneggiatura non è priva di difetti: alcuni intrecci risultano un po' forzati e la scrittura dei personaggi secondari soffre forse di eccessive semplificazioni, ma si tratta tuttavia di mancanze comprensibili visto il carattere urgente e immanente della storia.
La regia di Mike Nichols (Chi ha paura di Virginia Woolf?, 1966; Cartoline dall'inferno, 1990) è ottima, tanto da conseguire un Oscar l'anno successivo all'uscita del film. Un buon bilanciamento di ritmi narrativi ora riflessivi ora frenetici, segnati da realismo e immediatezza (anche grazie al buon montaggio di San O'Steen), si alterna a sequenze memorabili e quasi espressive: su tutte, quella di Benjamin isolato dal mondo nel proprio scafandro in piscina, durante la quale l'utilizzo di grandangolo e inquadratura soggettiva trasmette allo spettatore sia la situazione emotiva soffocante del personaggio, sia il punto di tensione narrativa cui è giunto il film.
Il laureato può essere visto come una favola generazionale: della favola ha infatti il carattere allegorico e universale, il sistema di personaggi e funzioni narrative (l'eroe, la bella da trarre in salvo, la tentazione…), di generazionale la potenza espressiva e simbolica. Malgrado alcuno difetti (dovuto propria al carattere allegorico) e l'ovvio legame con un determinato periodo, resta tutt'ora un film che ha marcato, per coraggio e ruolo culturale, la storia del Cinema, oltre ad aver dato adito a numerosi eredi più o meno degni.
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