New York, anni 40: la famiglia mafiosa dei Corleone, capitanata dal boss Vito e da suo figlio Michael, deve fronteggiare le feroci rappresaglie dei clan concorrenti.
New York, anni 40: la famiglia mafiosa dei Corleone, capitanata dal boss Vito e da suo figlio Michael, deve fronteggiare le feroci rappresaglie dei clan concorrenti.
Capostipite sia dell'omonima trilogia che di pressoché tutti i film di mafia a seguire, Il Padrino è innanzitutto un turning point nella carriera di molti membri del cast artistico e tecnico. È nota la leggenda secondo cui Mario Puzo, autore allora esordiente del romanzo (1970) da cui è tratto il film, decise in seguito all'improvviso successo di comprare un manuale per sceneggiatori, e vi trovò citato proprio Il Padrino come opera di riferimento fondamentale.
Francis Ford Coppola, allora giovane e squattrinato regista con pochi e trascurabili film all'attivo, ne ricavò la possibilità di farsi portabandiera della New Hollywood e proseguire la propria strada verso Apocalypse now (1979) e Dracula di Bram Stoker (1992). Marlon Brando ebbe modo di ridefinire la propria immagine con un ruolo crepuscolare e iconico, mentre per più giovani attori come Al Pacino e Diane Keaton fu un trampolino di lancio ineguagliabile.
Il Padrino, a partire proprio dalla sceneggiatura di Puzo e Coppola, si prospetta come saga familiare ma anche come studio antropologico e sociale sulle dinamiche dei clan mafiosi italoamericani.
Non è un caso che la prima scena abbia come ambientazione un matrimonio fastoso di stampo meridionale: essenzialmente, al di là della vicenda fra cosche criminali, il vero oggetto del film è la famiglia. Per quanto la storia sia lineare, i personaggi vengono tratteggiati e interpretati con attenzione e le quasi tre ore di montato, per quanto possano rendere faticosa la visione, si rendono necessarie. Merito, anche, di alcuni scambi di battute e situazioni entrate a far parte dell'immaginario comune.
Da manuale, per giunta, la costruzione della parabola ascendente di Michael, vero esempio dello schema narratologico del «viaggio dell'eroe» di Christopher Vogler: dalla presenza archetipica del mentore (don Vito stesso) alla «chiamata all'avventura» (la minaccia di morte per i familiari) fino all'«avvicinamento alla caverna più recondita» (l'attentato in Sicilia) e la «prova centrale» dello sterminio dei nemici. Fra Shakespeare e i tragici greci, Coppola e Puzo hanno così modo di distinguersi anche dalla tradizione precedente sui gangster movies: senza mai peccare di romanticismo, mai nessun film precedente aveva rappresentato la criminalità con tanto realismo e violenza.
Dal punto di vista registico, Il Padrino è davvero un manifesto dello stile hollywoodiano negli anni 70: cura formale, linearità e assenza di finzioni cinematografiche barocche. Due gli aspetti di fondamentale importanza: in primis la fotografia del premio Oscar alla carriera Gordon Willis (Io e Annie, 1977; Il sospetto, 1993), che sa catturare con sapienza sia le penombre dei luoghi chiusi che le scene alla luce del sole; in secondo luogo, la celebre colonna sonora di Nino Rota (Il gattopardo,1963; Amarcord, 1973), anche lui premio Oscar nel 1975.
Al di là dei singoli elementi, e delle interpretazioni individuali fra cui spiccano proprio Brando e Al Pacino, è proprio l'attenzione descrittiva della vita mafiosa ad aver reso Il Padrino un vero cult, conosciuto anche da chi non l'ha visto. Proprio qui, in realtà, si potrebbe individuarne il principale difetto, comune a ciò che Umberto Eco scriveva a proposito di Casablanca (1942): il fatto, cioè, che un film diventato iconico, col passare degli anni e con tutte le riprese e citazioni più o meno fedeli subite, potrebbe finire per essere un cumulo di «luoghi comuni ben fatti».
Azzerando, in tal modo, le differenze di arricchimento fra chi l'ha visto davvero e chi l'ha solo visto citato. Insomma Il Padrino, più che fare la Storia, è diventato esso stesso Storia: saccheggiato dal florido filone mafioso che ha contribuito a fondare, non sorprende più pur restando tutt'oggi una pietra miliare.
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