La grande saga di un misero minatore che diventa un petroliere intraprendente e disumano, dei personaggi che gli ruotano attorno e della nascita del capitalismo novecentesco.
La grande saga di un misero minatore che diventa un petroliere intraprendente e disumano, dei personaggi che gli ruotano attorno e della nascita del capitalismo novecentesco.
Paul Thomas Anderson ci ha abituati agli estremismi narrativi. Pur non potendosi definire sperimentale, il suo storytelling sottopone sempre lo spettatore a una prova. In Magnolia (1999), anticipando quelle modalità di accumulo di storie, divagazioni, innesti che sarebbe stata propria delle serie on demand. Con l'allucinogeno Vizio di forma (2014) distrugge il senso logico, propriamente detto della trama: fra le varie teorie, più o meno legittime, che cercano di dare una spiegazione al film, ce ne sono alcune che invitano addirittura a ricorrere a presunti indizi nascosti nella locandina. Quest'anno, in collaborazione con Thom York, è invece stato pubblicato su Netflix Anima, un tentativo di portare il videoclip alla dignità di cortometraggio d'autore, con una storia che si segue attraverso la musica e le coreografie. Il petroliere, rispetto ai citati, appare lineare nella trama ma è solo in apparenza una classica saga epica all'americana: l'incipit, della durata di 15 minuti, è completamente muto e ambientato nel sottosuolo di una miniera. Si tratta di una prova di forza per il fruitore, assediato dai rumori dei catenacci e ingannato dal fatto che il resto del film è basato in buona parte sui dialoghi, e anzi è proprio un monologo del protagonista, in primissimo piano e frontale, a introdurre il seguito. Che uno dei personaggi principali diventi sordo, infine, non è un caso: in maniera subliminale, ed espressionista, il prologo ci ha già fatto sperimentarne la condizione.
Restando sempre in tema di monologhi, si potrebbe poi evidenziare la predica di Paul Dano: se nella potenza retorica e nel fanatismo delle sue parole si intravede un eco degli speech di Tom Cruise in Magnolia, il vero capolavoro della sequenza è il movimento della macchina da presa. La quale, seguendo Dano fino ad andare dietro l'anziana che il predicatore sta esorcizzando, esce poi dall'edificio con l'attore che si rivolge a questa come al demonio che sta scacciando: da oggetto per il film la cinepresa diventa quindi soggetto nel film stesso, in una dinamica di sguardi che riporta a Blow up (1966) di Michelangelo Antonioni.
Liberamente tratto dal romanzo Oil! di Upton Sinclair, il quinto film di Anderson abbandona la caratteristica narrazione corale (si vedano, nuovamente, Magnolia e Boogie Nights – L'altra Hollywood, 1997) per dare vita ad un racconto epico. Epico, innanzitutto, nei tempi dilatati e a tratti veramente difficoltosi per lo spettatore. Al centro della vicenda sta la figura titanica di Daniel Planwiew, il petroliere, immagine del self-made man e del sogno americano, incarnazione di quel capitalismo che cominciava prepotentemente ad affacciarsi ai primi del Novecento. Capitalismo che muta per sempre il rapporto fra l'uomo e la terra dalla sussistenza allo sfruttamento intensivo.
Da un lato si assiste ad un film che vuole inserirsi nella tradizione epica americana, che ci parla della conquista della frontiera e dell'impervia lotta fra l'uomo e la natura (la pellicola non a caso è dedicato a Robert Altman); dall'altro, Anderson sceglie di mostrarci il lato disumano di questo conflitto. Ciò che muove Daniel non è altro che la sua misantropia, il suo odio per il prossimo (che pure puntualmente non manca di deluderlo), il suo accumulare ricchezze risulta privo di un fine che non sia l'isolamento e in seguito l'autodistruzione.
L'antagonista di Daniel è il reverendo Eli Sunday, una figura opposta ma speculare, la lotta fra i due per il controllo degli abitanti di Littel Boston si svolge a suon di umiliazioni reciproche con metodi diversi: da un lato il progresso, materiale e radicato sulla terra, dall'altro la religione, la fede evangelica che dona speranza in un aldilà esclusivo, dove solo chi si piegherà ciecamente alle parole del reverendo potrà accedere. Questo scontro fra forze metafisiche ha una conclusione brutale nell'ultima sequenza del film dove Eli viene colpito a morte con una ‘clava' da un abbruttito Daniel ridotto ad uno stato semi-animalesco. Il progresso e l'elevazione spirituale possono davvero migliorare l'essere umano è negare la sua natura violenta? Oppure la resa dei conti può solo basarsi sulla legge primordiale del più forte?
Anderson realizza un film di grande impatto visivo dove, come nel cinema delle origini, l'immagine regna sovrana regalando fortissime suggestioni, la parola è accuratamente dosata, enfatica; notevoli i piani sequenza come quello dell'esplosione del pozzo di petrolio. Se l'immagine è al primo posto la musica segue immediatamente, le scene sono sottolineate da una colonna sonora fortemente evocativa
realizzata da Jhonny Greenwood e da Arvo Part: il martellare degli strumenti sembra richiamare il rumore delle pompe di petrolio in azione, il primato in questo campo spetta tuttavia al Concerto in fa maggiore. Vivace ma non troppo di Brahms che diventa il vero e proprio leitmotiv del film sottolineandone in modo epico il finale e il trionfo di Daniel sull'ultimo dei tutti i suoi avversari: sé stesso.
Due grandi personaggi resi alla perfezione da due interpreti di primo livello: Daniel Day Lewis ci restituisce alla perfezione sia vocalmente che espressivamente un personaggio complesso come Daniel Plainview. Lo caratterizzano infatti: la voce profonda, soffocata, e l'andatura animalesca di un uomo che ha passato la vita lavorando in miniera, ha sacrificato tutto al successo, una creatura violenta che a fatica veste i panni di essere umano e padre. Daniel è il personaggio dell'azione, caratterizzato da lunghi e profondi silenzi, dallo sguardo assorto e pianificatore che sembra trovare gioia solo contemplando le fiamme che divampano da un nuovo pozzo di petrolio.
Il giovane Paul Dano ricopre invece nel ruolo di Eli Sunday, un personaggio caratterizzato da altrettanta violenza animalesca ed esplosiva. Anche lui come Daniel è un self-made man, costruisce la sua chiesa attorno al concetto della Terza Rivelazione, culto messianico incentrato sulla propria figura. Afferma di compiere miracoli sbalordendo il suo pubblico con grande maestria alternando grazia e follia, è un manipolatore: come Daniel nasconde la propria natura veniale dietro ad una maschera di finta e paterna compassione e non esita ad abbandonare la propria comunità per cercare fortuna in una città più grande quando ne ha l'occasione. Sempre seguendo la propria natura, spinto da una necessità tutta materiale, non esiterà a tornare da Daniel alla fine del film andando incontro alla morte.
L'interazione tra questi due personaggi è valorizzata dai piani sequenza: si tratta di un'interazione fisica, violenta, dove non di rado alle parole seguono le mani. Da questo scontro scaturisce un'energia fortissima che contrasta con il ritmo piuttosto lento della pellicola.
Il Petroliere è destinato a diventare una pietra miliare del cinema contemporaneo, una narrazione epica che guarda al passato per indagare il presente, un film dove lo spettatore è messo di fronte a personaggi titanici tanto maestosi nel portare avanti la propria lotta contro il mondo quanto terrificanti e consumati da quel potere tanto ricercato.
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