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Ingmar Bergman

Il posto delle fragole | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Il posto delle fragole
Titolo Originale:
Smultronstället
Regia:
Ingmar Bergman
Uscita:
28 agosto 1958
(prima: 26/12/1957)
Lingua Originale:
sv
Durata:
95 minuti
Genere:
Dramma
Soggetto:
Sceneggiatura:
Ingmar Bergman
Fotografia:
Gunnar Fischer
Montaggio:
Oscar Rosander
Scenografia:
Musica:
Erik Nordgren
Göte Lovén
Produzione:
Allan Ekelund
Produzione Esecutiva:
Casa di Produzione:
SF Studios
Budget:
$0
Botteghino:
$0
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Redazione

10

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Professor Isak Borg
Victor Sjöström
Sara
Bibi Andersson
Marianne Borg
Ingrid Thulin
Evald Borg
Gunnar Björnstrand
Agda
Jullan Kindahl
Anders
Folke Sundquist
Viktor
Björn Bjelfvenstam
Mrs. Borg
Naima Wifstrand
Berit Alman
Gunnel Broström
Karin Borg
Gertrud Fridh
Aunt Olga
Sif Ruud
Sten Alman
Gunnar Sjöberg
Henrik Åkerman
Max von Sydow
Karin's Lover
Åke Fridell
Uncle Aron
Yngve Nordwall
Sigfrid Borg
Per Sjöstrand
Sigbritt Borg
Gio Petré
Charlotta Borg
Gunnel Lindblom
Angelica Borg
Maud Hansson
Eva Åkerman
Ann-Marie Wiman

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Un anziano professore, durante un viaggio per riscuotere meriti accademici, si trova a rivalutare la propria esistenza.

Recensione:

Per quanto sarebbe irrispettoso tentare una classifica delle opere di Ingmar Bergman, Il posto delle fragole rientra sicuramente fra le più significative nonché, al pari de Il settimo sigillo (1957), maggiormente note. La struttura narrativa da road movie si dipana lungo un viaggio in tre direzioni: orizzontale per la strada fisicamente percorsa, temporale attraverso sogni e ricordi, infine al fondo nei meandri della psiche. Di queste tre, una sola è senza dubbio unidirezionale ed è quella psicologica perché porta il protagonista a una rivalutazione definitiva e inedita della propria vita e dell'esistenza. Le visioni avanti e indietro nel tempo, invece, si susseguono senza soluzione di continuità ma intrecciandosi l'una con l'altra, rendendo indistinguibili i ricordi veri da quelli rivisitati e mettendoli sullo stesso piano di realtà degli incubi premonitori. Infine, quanto al viaggio fisico, non viene specificato a livello di trama se si tratti in effetti di un'andata senza ritorno o meno: in tal caso, il professor Borg che lo compirà a ritroso sarà un individuo diverso.

Capolavoro della meditazione esistenziale e filosofica, il film racchiude in se molte delle tematiche ricorrenti per il regista di Sussurri e grida (1972). In primis, i dubbi sull'esistenza di Dio e la necessità di interrogarvisi: su questo, come vedremo nei paragrafi successivi, viene costruita non solo la riflessione sulla salvazione personale del protagonista ma anche il sistema dei personaggi. Seguono poi il gusto dell'onirico e del simbolico, con i presagi di morte dal carattere espressionista ed enigmatico (gli orologi senza lancette del primo sogno, interpretabili come fine ineluttabile del tempo o eternità della vita spirituale). È poi soprattutto il perduto mondo di un'infanzia da recuperare e proteggere l'ulteriore asse portante di una filmografia che della temporalità, della poesia e dell'inquietudine di fronte al mistero dell'esistenza si è resa fonte di riflessione e ispirazione per cineasti a venire.

È poi il tema del doppio, qui come in Persona (1966), a innervare la narrazione.


La sceneggiatura, di Bergman stesso, è attenta alla facoltà dei personaggi di rispecchiarsi fra loro, in un gioco di sovrapposizioni psicologiche che ben si innesta in quelle temporali e ontologiche.


I due giovani possono essere rappresentati come l'immagine scissa e ringiovanita di Isak, colto in una fase della propria vita in cui si dibatte fra l'ateismo militato e l'assenza sofferta di Dio: il loro comune interessamento per la sosia di Sara rispecchia l'antica rivalità fra cugini pretendenti ma anche le due alternative che si presentavano al giovane Isak. Una sola delle quali si è avverata, provocandogli rimorsi e incubi ulteriori. Il doppio si ritrova nella coppia litigiosa trovata per strada, così come nella coppia di Marianne e Evald in crisi. È la somma di contrasti interni che Isak impara a contenere e accettare per tutta la durata di un viaggio dolcemente scandito da una fluidità di scrittura di impressionante realismo. Il ritmo narrativo è conferito anche dall'ottimo montaggio, con sapiente uso delle transizioni incrociate, di Oscar Rosander.

Regia e fotografia sono magistrali. Gunnar Fischer, collaboratore abituale di Bergman, coniuga nelle proprie immagini tutta l'imponente perfezione della scuola nordica, alternando l'espressività dei primi piani e la magia degli esterni. Quanto alla interpretazioni, oltre alle ricorrenti e indimenticabili Bibi Andersson, Ingrid Thulin e Max von Sydow, si segnala il regista, maestro di Bergman, Victor Sjöström in un ruolo da protagonista affrontato con delicatezza e grazia.

Il posto delle fragole in sintesi è fra le opere che più meritano di entrare nel canone della Storia del cinema: un racconto affascinante e senza tempo, dalla valenza universale e di profondità e tecnica magniloquenti.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 4 settembre 2020.

Pro:

  • Opera filosofica e narrativa di estrema profondità e valenza universale.
  • Sceneggiatura e scrittura dei personaggi che offrono spunti, tecnicamente resi alla perfezione, su temi quali la morte e il doppio.
  • Regia, fotografia e montaggio perfetti.

Contro:

  • Nessuno.

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