La vita di due fratelli nel Montana, agli opposti per carattere, del secolo scorso viene sconvolta quando uno dei due si sposa con una vedova del luogo.
La vita di due fratelli nel Montana, agli opposti per carattere, del secolo scorso viene sconvolta quando uno dei due si sposa con una vedova del luogo.
«Salva l'anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane» è un verso del Libro dei Salmi, citato nel film che ne deriva il titolo. L'animale in questione è caratterizzato da una certa ambiguità, in quanto fin dall'antichità classica rappresenta ora la fedeltà e l'affetto senza compromessi (il cane Argo dell'Odissea), ora la violenza e l'istinto primordiale connesso alle pulsioni violente e di morte (il Cerbero che nel mito di Orfeo ed Euridice presiede agli Inferi). Dal punto di vista psicanalitico, è esplicito il rimando all'inconscio dei personaggi: l'omosessualità di Phil è tenuta nascosta sotto una coltre di violenza, che gli è diventata ormai coessenziale, così come l'obbligo sociale impone a Rose di nascondere il proprio alcolismo. Sta così a Peter, inaspettato e segreto macchinatore di delitti, ristabilire la mansuetudine e la stabilità familiare rappresentata da George. Inoltre, in astronomia esiste la costellazione dei Cani da Caccia o Canes Venatici (due, non a caso): un rimando non filologicamente esatto, ma perlomeno suggestivo, all'epica controversa e selvaggia del Far West che Il potere del cane prova a riscrivere. I modelli, a tal proposito, sono Paul Thomas Anderson che del mito della frontiera aveva offerto un'interpretazione tragica e protocapitalista ne Il Petroliere (2007) e I fratelli Sisters di Jacques Audiard, vera e propria elegia sulla caducità dell'esistenza nei territori del West.
La sceneggiatura, scritta dalla regista Jane Campion (Lezioni di piano, 1993) che ha riadattato l'omonimo romanzo di Thomas Savage, riporta in scena proprio gli scontri frontali fra personalità forti e controverse tipica di Anderson: come in The Master (2012), l'ambiguo rapporto fra mentore e allievo si ripropone nelle dinamiche fra Phil e Peter. La tragedia archetipica del sacrificio del padre/mentore, necessario nel processo di maturazione del protagonista, viene qui svolta con espedienti strutturali ben inseriti, anche quando accademici: la fine di Phil, per esempio, è anticipata non solo dal taglio che accidentalmente si procura lavorando al bestiame, dettaglio prima accennato e solo in seguito rilevante, ma anche dal rispecchiarsi di Phil nella roccia che domina il ranch, raffigurante un cane da caccia intento a spalancare le fauci (e in procinto, proseguendo la metafora, di contrarre una malattia infettiva). Le relazioni fra personaggi sono ben descritte e capaci rimanere impresse, ricorrendo sempre al fattore della dualità: lo scontro fra machismo tipico del Far West e femminilità repressa va a braccetto con quello familiare e sentimentale. Meno riuscite, invece, sono le caratterizzazioni dei protagonisti in sé, soprattutto Rose e George che vivono dei loro confronto con Phil ma, considerati singolarmente, non risultano troppo approfonditi. Dialoghi, infine, sobri ed efficaci: la narrazione è dilatata e affidata più alla tensione fra campi di forza che alla potenza delle parole, rendendo Il colpo del cane un'opera a suo modo non facile e autoriale.
Molto buona la regia, caratterizzata da semplice austerità capace di esaltare sia fotografia e scenografie, soprattutto nelle panoramiche, e le interazioni fra personaggi.
Se la mano di Campion risulta quindi funzionale al racconto, sono le immagini di Ari Wegner a fare da padrone: il contrasto fra interni ed esterni è affidato a una color correction maniacale, mentre l'uso delle luci, fra ombre, riflessi e raggi che filtrano dalle finestre, è prossima alla perfezione. Semplice e limitata a pochi ambienti, ma dettagliate sono poi la ricostruzione storica dello scenografo e premio Oscar Grant Major (trilogia de Il Signore degli Anelli, 2001 – 2003) e dei costumi.
Impressionanti e ben organizzate risultano le musiche di Jonny Greenwood (Il filo nascosto, 2017), quasi ipnotiche per la loro perfezione matematica. Infine, una menzione d'onore va al cast, dal camaleontico e sardonico Cumberbatch a Plemons che sempre più si sta facendo strada in ruoli non marginali nelle produzioni Netflix (El Camino, 2019; Sto pensando di finirla qui, 2020). Opera interessante per la sovrapposizione di piani di lettura, dall'immaginario mitico a quello western passando per il dramma, Il potere del cane non raggiunge l'efficacia dei propri modelli ma vi si avvicina, portando sul piccolo schermo una narrazione ibrida e di notevole qualità.
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