Uno stimato chirurgo vive serenamente con la sua famiglia fin quando un giovane ragazzo gli rivela una verità così illogica quanto tragica.
Uno stimato chirurgo vive serenamente con la sua famiglia fin quando un giovane ragazzo gli rivela una verità così illogica quanto tragica.
Come suo consueto, anche ne Il Sacrificio del Cervo Sacro, il cineasta Yorgos Lanthimos (Kynodontas, 2009; The Lobster, 2018) opera con diretto riferimento ad un mito classico greco. Qui quello di Ifigenia in Aulide, offerta in sacrificio da suo padre Agamennone per soddisfare la dea Artemide dopo averla offesa (avendo ucciso proprio uno dei “suoi” cervi).
La metafora è favorita attraverso una situazione apparentemente implausibile a cui la famiglia Murphy, composta da Steven (Colin Farrell), Anna (Nicole Kidman) e i loro due figli, è sottoposta. Steven, stimato chirurgo, ha ucciso un suo paziente: solo l'accettazione del proprio peccato e il sacrificio di un componente della famiglia potrà esimerlo dalla condanna cosmica. Tuttavia, Lanthimos si distanzia dal mito grazie ad un piccolo eppure fondamentale particolare: non esiste salvezza, né perdono, il figlio immolato da Steven non è graziato da nessun dio, nessun angelo (come con Isacco) impedirà al proiettile di compiere ciò per cui è stato sparato. Il flagello trascendente (attenzione: non divino) non è razionalmente spiegato, seppur si evinca il desiderio del regista di ambientare la vicenda in un microcosmo familiare, distruggendolo; in questo senso l'incursione di Martin (Barry Keoghan) all'interno della casa si correla evidentemente ad una narrazione di tipo hanekiana (vedi Funny Games, 1997).
Una sceneggiatura cruda, apparentemente pronosticabile già dalla prima metà della pellicola, porta lo spettatore a dubitare, nichilisticamente, del proprio libero arbitrio, lo stesso da cui Steven viene privato quando, a fronte di una vita deterministica e scientifica che la sua professione esigeva, decide di affidarsi al fato per la sorte della famiglia (nonostante inizialmente ricerchi, senza mai crederci realmente, la possibilità di uccidere con cognizione di causa, per esempio consultando il preside della scuola dei suoi figli). La crudeltà della vicenda rimane tuttavia superficiale, posta come solo strumento per attingere al significato di una pellicola assai complicata, spesso anche comica, elemento che tuttavia Y. Lanthimos analizzerà in maniera migliore nel successivo lungometraggio, La Favorita (2018).
L'ineluttabile elemento tragico della narrazione viene egregiamente riportato su immagini con una tecnica registica e fotografica sublime, di ispirazione apertamente kubrickiana, e forte di una precisione scenica maniacale.
Tralasciando alcune sottili (ma interessanti) analogie meta-cinematografiche, come l'impressionante somiglianza fisica ed espressiva tra il giovanissimo attore del film in questione e il Danny Lloyd di Shining (1980), e la scelta di far ricoprire il ruolo di Anna a Nicole Kidman (Dogville, 2003), che già era stata moglie borghese misteriosamente erotica in Eyes Wide Shut (1999), la netta impronta del maestro Stanley Kubrick (Barry Lyndon, 1975) si riversa in modo particolare sulla tecnica registica.
Lentissimi zoom, lunghe carrellate, prospettiva e simmetria scenica: elementi magnificamente sfruttati da Lanthimos per comporre quadri perfetti di un dramma familiare apparentemente insanabile. I corridoi dell'ospedale nel quale Steven lavora ricordano un labirintico e moderno Overlook Hotel, asettico e orrorifico a tal punto da essere luogo primo del crollo psicologico e morale di un padre impotente.
Ogni inquadratura è studiata minuziosamente, e la fotografia neutra, fredda, è fedele ai temi trattati. L'incipit iniziale, inoltre, non è solo un omaggio a 2001: Odissea nello Spazio (1968), ma intrappola lo spettatore in un buio costrittivo, impreparato alla visione improvvisa di un'operazione a cuore aperto, agghiacciante e ipnotica allo stesso tempo.
Ad incorniciare un'opera così sontuosa ed enigmatica vi sono i monumentali brani antichi di Franz Schubert, Gyorgy Ligeti e Johann Sebastian Bach. Come Kubrick, Lanthimos sceglie di utilizzare musica già esistente, riuscendo così girare le scene sapendo preventivamente quali brani accompagneranno le immagini.
Il missaggio audio è artisticamente perfetto, soprattutto considerata l'estrema difficoltà nel creare dell'arte in un campo così strettamente tecnico. Le pratiche divenute standard nel corso degli anni vengono intelligentemente eliminate, per dar spazio a qualcosa di nuovo: profondità di campo sonoro pressoché inesistente, così da offrire maggior libertà al contrasto tra il parlato e la musica, dove spesso quest'ultima sovrasta il primo. Risultato egregio da questo punto di vista. Ottime invece le interpretazioni, frigide, fedeli a personaggi che agiscono come automi, scombussolati dagli eventi.
In conclusione quello che Yorgos Lanthimos ama fare e creare un mondo cinematografico con le sue regole e astenersi dalla ricerca di un apparente realismo, che non può esistere in un campo in cui tutto è sperimentazione. Il Sacrificio del Cervo Sacro è un film elegante, austero nella presentazione, e tanto straziante contro i suoi personaggi, per cui, da spettatore, connettersi con esso potrebbe risultare meno semplice del previsto.
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