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Judas and the Black Messiah | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Judas and the Black Messiah
Titolo Originale:
Judas and the Black Messiah
Regia:
Shaka King
Uscita:
9 aprile 2021
(prima: 12/02/2021)
Lingua Originale:
en
Durata:
126 minuti
Genere:
Dramma
Storia
Soggetto:
Shaka King
Will Berson
Kenneth Lucas
Keith Lucas
Sceneggiatura:
Shaka King
Will Berson
Fotografia:
Sean Bobbitt
Montaggio:
Kristan Sprague
Scenografia:
Rebecca Brown
Kara Martinelli White
Musica:
Mark Isham
Craig Harris
Produzione:
Ryan Coogler
Shaka King
Charles D. King
Produzione Esecutiva:
Kim Roth
Jeff Skoll
Ted Gidlow
Aaron L. Gilbert
Jason Cloth
Sev Ohanian
Poppy Hanks
Zinzi Coogler
Anikah McLaren
Casa di Produzione:
MACRO
Bron Studios
Participant
Proximity Media
Warner Bros. Pictures
Budget:
$26 milioni
Botteghino:
$6 milioni
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Redazione

7.5

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Bill O'Neal
Lakeith Stanfield
Fred Hampton
Daniel Kaluuya
Deborah Johnson
Dominique Fishback
Roy Mitchell
Jesse Plemons
Jimmy Palmer
Ashton Sanders
Jake Winters
Algee Smith
Bobby Rush
Darrell Britt-Gibson
Wayne
Lil Rel Howery
Judy Harmon
Dominique Thorne
J. Edgar Hoover
Martin Sheen
Collins
Amari Cheatom
Doc Satchel
Ian Duff
Bob Lee
Caleb Eberhardt
Leslie Carlyle
Robert Longstreet
Fesperman
Nick Fink
José Cha Cha Jiménez
Nicholas Velez
George Sams
Terayle Hill
Alex
Graham Lutes
Steel
Khris Davis
Betty Coachman
Amber Chardae Robinson

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

William O'Neal viene incaricato dall'FBI di infiltrarsi nell'organizzazione rivoluzionaria delle Pantere Nere dell'Illinois per fermare l'ascesa di Fred Hampton, il loro leader.

Recensione:

Nel suo secondo lungometraggio, Shaka King narra la vera storia di Fred Hampton, leader delle Pantere Nere dell'Illinois interpretato da Daniel Kaluuya, celebrato con il Premio Oscar per il Miglior Attore non Protagonista. Quando si decide di riportare sul grande schermo la storia di un grande personaggio del passato c'è sempre il rischio di crearne un quadro estremamente celebrativo e lontano dalla realtà dei fatti; non è il caso di Judas and the Black Messiah. Il film è ben lontano dalla dimensione del politicamente corretto e riporta fatti, situazioni e personaggi per quello che sono.


La figura di Fred Hampton viene trattata in maniera molto equilibrata. Del suo personaggio vengono fatti emergere ideali, sfaccettature, passioni, contraddizioni e debolezze; l'introspezione di Hampton ricorda quasi quella di molti dei personaggi di wellesiana memoria.


La struttura narrativa di Fred Hampton ha favorito anche l'ottima interpretazione di Kaluuya. La costruzione del protagonista ha conferito organicità ed equilibrio all'intero film e a molti dei personaggi comprimari. La sceneggiatura, infatti, funziona sia su un livello documentaristico che narrativo, grazie anche all'uso dei filmati d'epoca, all'alternanza tra le storylines delle Pantere e dell'FBI e all'inserzione della ricostruita intervista rilasciata da William O'Neal, in questo caso incarnato da Lakeith Stanfield. Nella zelante sceneggiatura ad opera dello stesso King e di Will Berson la caratterizzazione di O'Neal stona maggiormente. Nonostante la valida performance di Stanfield, il background del suo personaggio è lacunoso. L'agente Mitchell, complice un grandissimo Jesse Plemons, si è rivelato un character più completo. La scelta potrebbe essere dipesa dall'intenzione di ricreare la stessa circostanza nella quale si sono trovati i membri delle Pantere, in particolare Hampton, nei suoi confronti. Nonostante ciò, tale decisione si è dimostrata un punto a sfavore. Sicuramente non ha giovato la preponderanza di Kaluuya e Fred Hampton.

Il comparto visivo sostiene la sceneggiatura e insiste sulla stessa linea concettuale. La regia di King e la fotografia ad opera di Sean Bobbitt (Shame, 2011; 12 anni schiavo, 2013) sono estremamente funzionali alla storia e aiutano a restituire crudezza in molte situazioni. In particolar modo, la scena dell'omicidio di Fred Hampton e dei membri delle Pantere merita una menzione speciale: l'atmosfera si incupisce a partire dalla visione delle ombre dei poliziotti dietro la porta e si protrae fino al riprovevole epilogo. La gestione dell'estetica, supportata dal montaggio di Kristan Sprague, è perfettamente equilibrata tra il realismo delle scene e il rafforzamento delle emozioni. Non si sbilancia quasi mai verso le due estremità. L'elemento che più di tutti enfatizza la componente interiore delle vicende è la colonna sonora di Craig Harris e Mark Isham (Point Break – Punto di rottura, 1991; Crash – Contatto fisico, 2005). È discordante con ciò che lo spettatore sta vedendo, ma stimola in lui un continuo e perpetuo senso di estraniamento, frenesia e irrequietezza. Un altro aspetto fondamentale dal punto di vista formale è il linguaggio e i dialoghi. Si fa spesso riferimento alle parole, al tono e alla dialettica. Questa rilevanza si riscontra anche nei dialoghi stessi. L'alternanza tra il linguaggio forbito e il tipico slang della subcultura afroamericana scandisce anche le differenze fra i vari personaggi. Per questo motivo il doppiaggio italiano del film è limitante nella forma. L'adattamento italiano appiattisce del tutto le sfumature dei dialoghi.

In conclusione, Judas and the Black Messiah simboleggia il vero salto di qualità e notorietà per il regista statunitense, il quale sceglie di raccontare una storia vera con un linguaggio crudo. Questa peculiarità consente al film di restituire egregiamente e con realismo la complessità degli eventi narrati.

A cura di Paolo Neri.
Pubblicato il 1 maggio 2021.

Pro:

  • Le interpretazioni degli attori protagonisti, in particolare quella di Daniel Kaluuya, sono di altissimo livello.
  • Fatti, situazioni e personaggi vengono riportati sul grande schermo con assoluto realismo, distanziandosi dalla trasposizione celebrativa.
  • Il comparto visivo, formale e testuale del film sono perfettamente equilibrati e allineati fra loro.

Contro:

  • Il background del personaggio di O'Neal è lacunoso e scarso.

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