Eggsy, orfano di padre ed emarginato, scopre che il genitore era parte di un'agenzia di intelligence con lo scopo di proteggere l'umanità.
Eggsy, orfano di padre ed emarginato, scopre che il genitore era parte di un'agenzia di intelligence con lo scopo di proteggere l'umanità.
L'intento di Kingsman, assurto fin dall'uscita al ruolo di instant cult e in grado di generare un vero e proprio franchise di successo, è esplicitato nello stesso film da un dialogo fra i personaggi di Hart e Valentine: se i film d'azione contemporanei sono caratterizzati da un'eccessiva seriosità, la soluzione è ritornare alla leggerezza e alla divertita sospensione dell'incredulità tipica dei primi film di James Bond. Il britannico 007 è infatti il riferimento da saccheggiare, e da bersagliare, con l'arma a doppio taglio dell'omaggio e della parodia. All'intelligence britannica con licenza di uccidere viene sostituita un'organizzazione che, fin dal nome dei membri, riprende un altro caposaldo della cultura anglosassone quale il ciclo mitico di Re Artù e de Cavalieri della Tavola Rotonda. Dai modi paradossalmente formali all'eleganza delle vesti, passando per l'umorismo nero, la Kingsman è allo stesso tempo un tributo e una reinvenzione dei film di spionaggio à la Sean Connery. Vi si sommano il gusto postmoderno per la citazione e la tendenza al trash controllato: il risultato è un'epica degli agenti segreti più adatta alle nuove generazioni.
Partendo dal soggetto a fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons, Kingsman riesce nell'operazione non scontata di coniugare azione, umorismo e qualità cinematografica senza rinunciare all'appetibilità commerciale. La sceneggiatura di Jane Goldman e del regista Matthew Vaughn (X-Men – L'inizio, 2011) prende le mosse da elementi già visti, quali la struttura gerarchica dell'intelligence, il topos narrativo dell'addestramento delle reclute e la figura dell'antagonista folle e tecnologicamente potente, e li sviluppa con brio e leggerezza. Se è vero che la storia non racconta nulla di nuovo, bisogna comunque riconoscerne l'originalità e l'eleganza dei dialoghi, l'abilità di alcuni colpi di scena e il tentativo riuscito di rinnovare un genere filmico spesso confinato al puro effetto visivo. Si arriva così a perdonare alcuni aspetti controversi della scrittura, quali certe semplificazioni politiche e volgarità di genere che all'uscita del film vennero criticate aspramente: il film è dedicato al grande pubblico, eppure si mantiene su un livello di qualità e originalità pari forse, per restare nell'alveo dei film d'azione del decennio, al piccolo capolavoro di Edgar Wright Baby Driver (2017). Un finale forse troppo sbrigativo, se comparato alla durata del prodotto, non ne intacca la qualità complessiva e le scene capaci di unire comicità paradossale e adrenalina sono svariate: su tutte, il duelli con il personaggio di Gazelle e la carneficina nella chiesa fondamentalista.
La stessa regia di Vaughn si diverte a citare tecniche e stilemi del genere, sviluppandoli con efficacia.
L'uso della macchina da presa gioca con i punti di vista, assumendo nelle scene di combattimento ora la soggettiva particolare delle microspie, ora una visione più panoramica. Ne consegue una notevole perfezione coreografica, nobilitata dal montaggio di Eddie Hamilton e Jon Harris (La nave sepolta, 2021). Ad accompagnare il ritmo dei dialoghi e delle sequenze d'azione, vi è una colonna sonora prossima alla perfezione di Matthew Margeson ed Henry Jackman (Jumanji - Benvenuti nella giungla, 2017): opportunamente epica quando la scena lo richiede e in grado di sottolineare i caratteri dei personaggi (si segnala il tema di Valentine), la soundtrack tende nuovamente alla citazione parodica nell'utilizzo di brani non originali, classici del rock britannico quali i Dire Straits e Bryan Ferry. Ormai iconici, inoltre, i costumi di Arianne Phillips (C'era una volta a… Hollywood, 2019).
A impreziosire il film, infine, un cast che raggruppa classiche glorie e nuove promesse dell'industria cinematografica britannica: all'elegante Firth e all'algido e carismatico Strong si accosta la discreta versatilità di Egerton, mentre in ruoli minori figurano vere e proprie istituzioni quali Caine e lo statunitense Hamill. Nei panni dell'antagonista, sopra le righe e quasi al limite della demenzialità, vi è un istrionico Jackson con uno dei suoi look più iconici ed autoironici. Meno spazio, purtroppo, è dato alle figure e alle interpretazioni femminili, spesso forzate anche in fase di scrittura. In definitiva Kingsman riesce nell'obiettivo di utilizzare il meglio della tradizione action e creare un prodotto dai presupposti semplici e dal risultato più che discreto, inaugurando un nuovo approccio non solo al genere cinematografico ma anche alla logica del cinema popolare di qualità.
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