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Yorgos Lanthimos

La favorita | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di La favorita
Titolo Originale:
The Favourite
Regia:
Yorgos Lanthimos
Uscita:
30 agosto 2018
(prima: 23/11/2018)
Lingua Originale:
en
Durata:
120 minuti
Genere:
Dramma
Commedia
Thriller
Soggetto:
Sceneggiatura:
Tony McNamara
Deborah Davis
Fotografia:
Robbie Ryan
Montaggio:
Yorgos Mavropsaridis
Scenografia:
Alice Felton
Musica:
Produzione:
Ed Guiney
Yorgos Lanthimos
Ceci Dempsey
Lee Magiday
Produzione Esecutiva:
Andrew Lowe
Tony McNamara
Ken Kao
Rose Garnett
Deborah Davis
Josh Rosenbaum
Daniel Battsek
Casa di Produzione:
Waypoint Entertainment
Element Pictures
Scarlet Films
Film4 Productions
Fox Searchlight Pictures
Budget:
$15 milioni
Botteghino:
$95 milioni
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Redazione

8+

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Queen Anne
Olivia Colman
Abigail Hill
Emma Stone
Sarah Churchill, Lady Marlborough
Rachel Weisz
Robert Harley, Earl of Oxford
Nicholas Hoult
Samuel Masham
Joe Alwyn
John Churchill, Lord Marlborough
Mark Gatiss
Lord Sidney Godolphin
James Smith
Mae
Jenny Rainsford
Queen's Maid
Emma Delves
Sarah's Maid
Faye Daveney
Wanking Man
Paul Swaine
Mrs. Meg
Jennifer White
Sally
Lilly-Rose Stevens
Kitchen Servant
Denise Mack
Central Tory Booker
Willem Dalby
Earl of Stratford
Edward Aczel
Madame Tournée
Carolyn Saint-Pé
Eviction Courtier
John Locke
Servant, Upstairs
Everal Walsh
Footman #1
Timothy Innes

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Gran Bretagna, 1708: mentre sullo sfondo si agita la guerra anglo-francese, una nobildonna caduta in disgrazia si scontra con la favorita della Regina a corte, che ne fa le veci. In una vera e propria battaglia fatta di intrighi e tradimenti cercherà, nel corso della propria ascesa sociale, di occuparne il posto.

Recensione:

Yorgos Lanthimos, dopo il cinico The Lobster (2015) e lo spiazzante Il sacrificio del cervo sacro (2017), ci regala un altro capolavoro che indaga, alternando humor nero a scene di intensa drammaticità, il lato oscuro della psiche umana e il suo rapporto con potere e società. In questo film, forse più abbordabile dal grande pubblico rispetto ai summenzionati, si riconoscono tuttavia i tratti stilistici propri di un vero e proprio autore dei nostri giorni: la cura formale e simmetrica, la direzione degli attori, lo spaesamento tipico della cosiddetta nouvelle vague greca. La regia è il primo e più evidente punto di forza dell'opera, con scelte originali e un sapiente uso di contre-plongée e grandangoli (forse fin troppo frequenti) atti a rendere l'imponenza dei personaggi e degli splendidi interni, ricostruiti minuziosamente dalla scenografa Fiona Crombie (Macbeth, 2015).

L'ottima fotografia di Robbie Ryan (Slow west, 2015; I, Daniel Blake, 2016) è fortemente debitrice delle soluzioni a luce naturale del Barry Lyndon (1975) kubrickiano, e non è il solo elemento a rifarsi esplicitamente al film storico di Kubrick: in comune infatti la trama picaresca, di ambientazione settecentesca, che segue perfettamente lo schema narrativo rise and fall del protagonista. L'originalità, rispetto all'illustre modello, della sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara (Ashby – Una spia per amico, 2015) risiede nella creazione di una dinamica tensionale a tre, con protagoniste tutte femminili. Seguendo la scia del classico binomio sesso-potere,


lo spettatore si trova di fronte a una storia che è assieme sentimentale e politica, telenovela e Shakespeare.


Nella corte inglese rappresentata da Lanthimos sono le donne a detenere il potere, erotico e temporale, laddove tutti i personaggi maschili sono descritti come sessualmente ambigui o impotenti: non serve certo uno psicanalista a cogliere la metafora. Molto piacevoli anche i dialoghi, che si concedono espressioni anacronistiche e arroganti volte a suscitare un effetto di estraniamento comico in un film di costume che, questo è il rischio del genere (e anche di Lanthimos), può a tratti apparire poco dinamico.

Nel cast spiccano, ovviamente, le maggiori interpreti femminili che sanno tratteggiare tre donne distinte e tuttavia in stretta relazione reciproca. L'abile Emma Stone è probabilmente l'ultima attrice che ci si aspetterebbe nei panni di una nobildonna d'epoca, ma proprio giocando sul suo essere una punk in anticipo sui tempi riesce a rendere un personaggio tanto crudele quanto abile a fare la parte ora dell'agnello ora del lupo, ora della leader nata ora del buffone di corte. Rachel Weisz ci regala il personaggio più ambiguo del film, un'antagonista austera e autoritaria che in fondo non è più crudele della sua avversaria. Olivia Colman, unica delle tre (e di tutta la troupe) ad aver vinto uno dei dieci Oscar cui La favorita era stata candidata, ha forse fra le mani il personaggio più semplice, eppure più facilmente in sintonia con lo spettatore medio che partecipa delle sue sofferenze e rivalse. Se è arduo simpatizzare con la spietatezza della Stone o con la testardaggine della Weisz, non lo è con la buffa, volgare e al tempo stesso pietosamente drammatica regina della Colman.

Come la scenografia, anche i costumi di Sandy Powell (collaboratrice abitudinaria di Martin Scorsese e Todd Haynes, nonché costumista di Shakespeare in Love di John Madden, 1998) e le musiche contribuiscono in maniera non indifferente alla resa ambientale e psicologica del film. In particolare la colonna sonora, composta (come insegna sempre Kubrick) da brani classici di Händel, Purcell, Vivaldi e da interventi dell'artista Anna Meredith, segue fedelmente lo sviluppo della trama, caratterizzandosi per un riff di violoncello pizzicato ottimo nel creare tensione nello spettatore.

La favorita risulta un film consapevole dei propri modelli e allo stesso tempo assolutamente originale, che gioca con differenti registri e, se ha fatto storcere il naso a chi si aspettava un Lanthimos vecchio stile, ha sicuramente riscosso un meritato successo di pubblico e di critica.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 26 gennaio 2019.

Pro:

  • Interpretazione delle tre attrici protagoniste.
  • Fotografia in luce naturale.
  • Ricostruzione ambientale eccellente.

Contro:

  • Soggetto a tratti poco dinamico.
  • Uso a volte troppo virtuosistico dei grandangoli.

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