La storia di una povera ragazza venduta a un bruto saltimbanco ambulante. Sullo sfondo, l'Italia povera e contadina di metà Novecento.
La storia di una povera ragazza venduta a un bruto saltimbanco ambulante. Sullo sfondo, l'Italia povera e contadina di metà Novecento.
Federico Fellini, al suo terzo film, lavora sempre più nel costruire il proprio stile. La strada ha innanzitutto al centro due delle tematiche più ricorrenti nella lunga carriera del regista riminese: il circo, da un lato, e dall'altro l'attenzione ai personaggi infantili, emarginati e stralunati (La voce della luna nel 1991 sarà anche in questo senso un film testamentario). Ancora più che nei precedenti Lo sceicco bianco (1952), più vicino al neorealismo rosa e al cinema dei «telefoni bianchi», e I vitelloni (1953), prodromico della grande commedia all'italiana, qui si fa evidente l'aggancio a neorealismo.
Le ambientazioni periferiche e povere, l'Italia contadina e i segni lasciati dalla Guerra sono però attraversate dalla metaforica strada del sogno felliniano: alla cruda schiettezza si accosta la magia di una favola, alla tragedia la poesia tipica di Charlie Chaplin (nel cui vagabondo Charlot è impossibile non scorgere un antesignano di Gelsomina). Il vocabolo «strada», che dà il titolo al film, può essere letto in molteplici modi: in primis, un ennesimo richiamo al Chaplin di Tempi moderni (1936); a seguire, l'orizzontalità speranzosa del viaggio di Gelsomina, che precipita vorticosamente in verticale nella propria innocente fragilità; il sentiero di errori da osservare e rimpiangere giunti al capolinea, come la vicenda biografica di Zampanò; il cammino stesso di un Paese voglioso di progresso ma dove le iniquità e le miserie, sembra dirci l'autore, sono lungi dal cessare.
Il cinema stesso di Fellini, nella sua interezza, potrebbe essere percorso come una strada che, dondolandosi fra le pieghe del tempo, riporta sempre a un locus significativo:
in questo caso, come nel successivo 8½ (1963), il mare che apre e chiude la narrazione.
A fornire il taglio più realistico alla pellicola, è la fotografia di Otello Martelli (collaboratore di Fellini fino al 1961), che non a caso ha curato l'immagine per maestri fondativi del filone quali Vittorio De Sica e Roberto Rossellini: il documentarismo e la presa diretta sulla realtà si fanno quanto mai più forti, così, nel cinema di Fellini. La cui sceneggiatura, su soggetto di Tullio Pinelli e scritta anche con Ennio Flaiano, scegliere invece di seguire la strada della fiaba: oltre alla protagonista infantile e alla classica figura del bruto redento, vero archetipo narrativo (la bestia), il personaggio del matto funge da trickster, accompagnando le varie tappe di maturazione dei personaggi e, proprio, per la sua funzione, destinato a scomparire: di tale figura narrativa è esempio, fra gli altri, anche il Grillo di Pinocchio (2019). Fortemente esplorato, in fase di scrittura, il rapporto di subalternità fra uomo e donna, connesso a quello fra realtà schiacciante e sogno: più violento rispetto al già citato Lo sceicco bianco e nuovamente memore di quelle coppie comiche di opposti, qui di effetto anche e soprattutto tragico, del cinema muto di Chaplin. La regia di Fellini, ancora agli albori, riesce a mantenere saldi e connessi il lato trasognato è quello verista, dilatando i tempi narrativi e rendendoli lirici.
Grande importanza riveste poi l'operazione sui costumi fatta da Margherita Marinari, che con pochi e distintivi elementi ripresi dal mondo dei freak e cicce se riesce a identificare alla perfezione i ruoli narrativi e psicologici dei personaggi: qui come altrove è evidente, peraltro, la mano del Fellini disegnatore e fumettista, di cui sono rimasti numerosi schizzi raffiguranti Gelsomina e Zampanò. Le cui rispettive interpretazioni, essenziali nel corso dell'arco di trasformazione, sono più che adeguate.
A trarre, infine, le fila di quello che resta un gioiello nella prima fase di Fellini, le musiche di Nino Rota (premio Oscar 1975 per il secondo capitolo de Il Padrino), compagno di narrazione del regista fino alla morte nel 1978. Fortemente espressive e riconoscibili, le melodie del compositore stavolta hanno il proprio momento più iconico nel tema in tromba proprio di Gelsomina: che, ricorrendo all'espediente della musica associata al personaggio, si dimostra capace di annunciare e accompagnare la parabola di uno dei più struggenti protagonisti del cinema felliniano.
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