Un ragazzo non troppo colto si innamora di una compagna di scuola e chiede aiuto a una sua coetanea, invaghita della stessa persona.
Un ragazzo non troppo colto si innamora di una compagna di scuola e chiede aiuto a una sua coetanea, invaghita della stessa persona.
Produzione indipendente della Likely Stories, L'altra metà fin dal titolo, e dal bel prologo animato, si rifà ai miti sull'amore narrati da Platone nel Simposio. Non si tratta però dell'unico riferimento filosofico: la sceneggiatura è scandita da citazioni e considerazioni sul più complesso dei sentimenti umani. L'obiettivo è quello di dare vita a una teen comedy originale, colta e sofisticata. Da questo punto di vista, l'operazione è più che riuscita: il sapore riflessivo non scade mai nella citazione intellettuale pretestuosa o fuori contesto, e non toglie ai due personaggi principali quella sorta di naturale e spontanea simpatia che li accomuna. I temi collaterali non sono certo nuovi, dalla scoperta della propria sessualità al rapporto con l'altro, dall'amicizia alla discriminazione (di genere, ma in modo più sfumato anche di etnia); gli espedienti narrativi dello scambio epistolare e del gioco di coppie e l'ironia dei dialoghi, tuttavia, consentono un trattamento di apprezzabile delicatezza, sensibilità e, in alcuni passaggi, brio. La regista e sceneggiatrice Alice Wu (Saving face, 2005) ricorre a topos del genere quali la ragazza solitaria e studiosa, il gruppo di bulli, le partite, le feste adolescenziali, la gara di talenti: reinventandoli, a volte, e ricalcandoli altrove. Il film si ammanta quindi di una sorta di discreto fascino d'altri tempi (recenti), prendendo a modello alcune produzioni indipendenti a cavallo del Millennio, diventate in seguito e propri cult.
Purtroppo, la sceneggiatura non riesce a sviluppare a pieno tutti gli sputo interessanti che vengono suggeriti. Le dinamiche di relazione sentimentale, dopo un avvio originale, si perdono in turning point leggermente demenziali e patetici, quando l'iniziale linearità del racconto sarebbe stata non solo più che sufficiente, ma anche più apprezzabile. Soprattutto nella seconda parte, la trama e i dialoghi si barcamenano con difficoltà fra l'umorismo non richiesto e l'imbarazzo, tendendo a soluzioni logiche poco realistiche per l'intreccio e momenti ridondanti.
Peccato, perché sono svariate le situazioni che, nella prima metà, descrivono un microcosmo tanto semplice quanto ironico e piacevole:
la professoressa severa, il padre che vuole imparare l'inglese guardando film muti, le situazioni ricorrenti fra i due protagonisti a piedi e in bici che creano una sorta di ritualità, la scena del murales a quattro mani fra Ellie e Aster. La regia, pur senza pretese, presenta un fluire placido e e discreto: i difetti maggiori forse si hanno proprio quando si tende al forzato, come nelle inquadrature che vedono le due ragazze immerse nell'acqua che le specchia.
Il montaggio di Ian Blume e Lee Percy (Grey gardens, 2009) e la fotografia di Greta Zozula si mantengono su un livello mediamente buono, senza alcunché di memorabile ma con qualche tocco di delicatezza (buoni i notturni di Ellie nella cabina della ferrovia). Come la sceneggiatura, anche le interpretazioni danno il proprio meglio nella descrizione delle idiosincrasie, nei piccoli particolari, nei catarri generali e ironicamente di espressi dei personaggi: l'alchimia fra i due attori principali è molto buona, soprattutto negli esordi del rapporto narrato, per poi perdere di mordente verso il finale.
In definitiva L'altra metà non è un film destinato a ricoprire il ruolo di piccolo cult generazionale toccato a suoi predecessori, fra cui Juno (2007) e 10 cose che odio di te (1999). Troppi forse le ricadute in relazione ai buoni spunti. Si tratta, tuttavia, di un buon racconto di formazione, in grado di affrontare tematiche complesse con uno sguardo attento e poetico che spesso è mancato a molta produzione adolescenziale, specie se non destinata alla sala. Questo dà adito a due riflessioni senz'altro positive: in primis, rispetto alla possibilità che le distribuzioni OTT, di cui Netflix fa parte, possano contribuire a scovare film che, se non sono dei capolavori, risultano comunque di tutto rispetto. In secondo luogo, che le possibilità spesso frustrate di raccontare al pubblico medio il mondo dei giovani, l'integrazione sociale, la diversità e l'educazione sentimentale (la tematica del coming-out è qui gestita meglio che in più celebrati gay mainstream movies) non sono terminate ma possono portare a nuove storie da narrare.
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