Sperando in una promozione, Baxter affitta il proprio appartamento ai suoi dirigenti per incontri extraconiugali. La situazione cambierà con l'incontro della giovane miss Kubelik
Sperando in una promozione, Baxter affitta il proprio appartamento ai suoi dirigenti per incontri extraconiugali. La situazione cambierà con l'incontro della giovane miss Kubelik
Dopo aver deliziato il mondo intero con commedie raffinate come A qualcuno piace caldo (1959) e Viale del tramonto (1950) e capolavori del noir come La fiamma del peccato (1944), Billy Wilder apre gli anni '60 con una delle sue migliori espressioni artistiche e uno dei capolavori assoluti della storia del cinema, giustamente ricompensato con 5 Premi Oscar. L'appartamento è un perfetto connubio tra narrazione, tecnica, comicità, dramma e critica. La comicità fa da padrona e ogni componente filmica è assecondata a essa. Ma la comicità fa da guscio a un sottotesto estremamente drammatico e amaro. Wilder realizza una fotografia delle contraddizioni della società americana tramite l'impiego di una satira pungente e sottile.
Il personaggio di Baxter è succube dell'arrivismo e delle gerarchie generate dal sistema capitalistico. Il logoramento e lo sfruttamento lavorativo arrivano fin dentro le mura di casa di Bud, marginando del tutto i suoi affetti personali, la propria intimità e modificando l'immagine che i suoi vicini hanno su di lui. I vicini di Baxter, che ogni notte assistono agli stravizi dei suoi dirigenti, immaginando siano i suoi, lo vedono come un latin lover farabutto. Questa maschera che lui è costretto a portare lo intrappola e lo riduce a vivere costantemente una condizione umana di stampo kafkiana. L'immagine del ristringimento della propria personalità, sacrificata al lavoro, sembra essere ciò che viene annunciato da Lulù Massa, protagonista de La classe operaia va in paradiso (Elio Petri, 1971) interpretato da Gian Maria Volonté, durante il suo famoso monologo alla fabbrica.
La rappresentazione dello status lavorativo di Baxter, e dei suoi colleghi, la si può riscontrare in ogni componente filmica, che risulta funzionale alla semantica.
La scenografia, ad opera di Edward G. Boyle e Alexandre Trauner (Otello, 1952; Testimone d'accusa, 1957), è in grado di riflettere la psiche del protagonista, come nella riproduzione del disordine dell'appartamento, e la propria condizione lavorativa: gli interni dell'ufficio nel quale lavora rappresentano perfettamente l'essenza scialba e demoralizzante dell'ambiente aziendale, grazie anche alla splendida fotografia di Joseph LaShelle (Baciami, stupido, 1964; Non per soldi… ma per denaro, 1966). Le musiche, sia di scena che extra-diegetiche, sono sempre incalzanti e conferiscono il giusto ritmo alle vicende. Il focus di tutte queste parti costitutive si chiude sui di veri mattatori scenici del film: Jack Lemmon e Shirley MacLaine, entrambi in forma smagliante. La scelta di Lemmon risulta essere ancora vincente, a prova del talento dell'attore del Massachusetts e della sua capacità rappresentativa dei protagonisti di Wilder. La MacLaine, alla sua prima collaborazione con Wilder, si dimostra magistrale nell'interpretare un personaggio drammatico e sfinito, ma allo stesso tempo vivace e disinvolto. Inoltre, molte delle soluzioni sceniche e narrative aprono le porte al cinema moderno, distanziandosi da alcuni archetipi del cinema classico hollywoodiano, pur mantenendo una struttura narrativa decisamente classica. La messa in scena di un tentato suicidio, dell'alcool e del sangue; la presenza di oggetti tipici della modernità, come il frigorifero e la televisione; la concezione di un cinema che ha una storia e un'autoreferenzialità: questi sono tutti segni di un cinema che, all'inizio degli anni '60, sta per cambiare.
L'appartamento è una fusione di dramma e comicità che, attraverso pochi elementi, compie un'attenta e veritiera critica sociale. Una commedia nera amarissima che, nonostante l'ilarità delle battute e delle pose slapstick, risulta talmente cinica e spietata da sfociare nel distopico: non a caso, alcune cose saranno poi riprese da Terry Gilliam in Brazil (1985).
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