Bess è una giovane credente, ingenua e innamorata del novello marito Jan. Quando questi rischierà la vita in un incidente, lei farà di tutto perché Dio lo aiuti a sopravvivere.
Bess è una giovane credente, ingenua e innamorata del novello marito Jan. Quando questi rischierà la vita in un incidente, lei farà di tutto perché Dio lo aiuti a sopravvivere.
Le onde del destino, secondo la tendenza tipica di Lars von Trier a tematizzare la propria opera omnia, appartiene alla cosiddetta Trilogia del cuore d'oro. Assieme agli altri due capitoli, Idioti (1998) e Dancer in the dark (2000), il nucleo narrativo ruota attorno alla vicenda di un personaggio femminile troppo puro e idealista per la brutalità del mondo, e al dramma personale che ne consegue.
Il quasi coevo manifesto Dogma 95, co-ideato proprio da von Trier, è ironicamente celebre nella storia delle teorie cinematografiche per essere il metodo meno rispettato in assoluto, soprattutto dai propri fondatori. Di fatto, l'unico film di von Trier a rispondere pienamente ai precetti del Dogma è proprio Idioti. Tuttavia, tutta la filmografia del regista danese ne ripropone, più o meno alterati, alcuni elementi essenziali. Il film in questione non fa eccezione: assenza di scenografie e oggetti scenici finzionali, mancanza di un genere di riferimento, ricorso a commento sonoro unicamente diegetico, colori naturali e macchina da presa rigorosamente a mano. Se tali caratteristiche, prolungate per più di due ore, possono risultare ostiche allo spettatore medio (si tratta d'altronde di cinema fortemente autoriale), ne Le onde del destino si coniugano perfettamente al soggetto.
La storia, scritta ovviamente da von Trier, racconta della passione (in senso cristologico) di una figura border-line, in una discesa agli Inferi costante e riscattata unicamente dall'atto di pietà finale. Il senso di desolazione e solitudine si coniuga perfettamente con la fotografia in “bianco e nero a colori” di Robby Müller (Nel corso del tempo, 1976; Daunbailó, 1986). La vicenda, per quanto lineare, è ottimamente scandita da una trama ritmica i cui elementi principali sono: i monologhi deliranti con Dio della protagonista; le scene di riunione comunitaria in chiesa, in cui i severi volti dei sacerdoti ricordano il capolavoro danese La passione di Giovanna d'Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer, chiara fonte di ispirazione tematica e visiva; infine, la divisione in capitoli. I quali, caratterizzati dal ricorso a musiche extra-dietetiche glam rock e folk e alla fotografia curata e filtrata, sono in totale contrasto con il resto del film, quasi come elaborate copertine di breviari dal contenuto apocalittico.
Nel complesso, il marchio estetico del film è forte, netto e riconoscibile, ma ottimamente curato. Soprattutto, non soffre della mania autoreferenziale che ha caratterizzato le ultime produzioni di von Trier.
A livello di interpretazioni, è evidente l'ottima performance di Emily Watson, che riesce a rendere, nelle espressioni come nella voce, la psicologia della protagonista. La cui personalità è scissa fra l'estrema bontà e la profonda mortificazione, fra sé stessa e Dio dentro di sé, fra lucidità e follia. Le altre interpretazioni, purtroppo, risaltano per quanto sono dimenticabili e inadeguate in confronto a quella principale.
Le onde del destino è un film selettivo, sicuramente. Riesce comunque nel proprio intento di trasportare lo spettatore, anche se poco avvezzo allo stile del regista, nel dramma personale di Bess e nel contesto opprimente di sguardi e giudizi della comunità bigotta e conservatrice. Tema, quest'ultimo, al centro di quello che per molti è il capolavoro di von Trier: Dogville (2003), in cui le riflessioni sul contrasto fra singolo e collettività saranno portati, stilisticamente e narrativamente, all'estremo.
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