La vita borghese della cocker spaniel Lilli viene stravolta quando i suoi padroni diventano genitori.
La vita borghese della cocker spaniel Lilli viene stravolta quando i suoi padroni diventano genitori.
Remake adattamento live-action dell'omonimo film Disney di animazione del 1955, Lilli e il Vagabondo è l'ultima operazione commerciale proposta al grande pubblico, questa volta però usufruibile non in sala, bensì attraverso la nuova piattaforma streaming, Disney Plus. L'iniziativa della riproposizione di grandi classici passati (Dumbo, 2019; Il re leone, 2019) non è finalizzata solamente a un ritorno economico importante; sono tre infatti i principali motivi che incoraggiano mamma Disney nel fare ciò. La scadenza dei diritti è vicina: da qui ai prossimi decenni il copyright sul design e l'ideazione di numerosi personaggi è destinato a scadere, pertanto il remake è funzionale a riconfermare la proprietà intellettuale. Inoltre, la società si è evoluta, le persone sono cambiate e con esse le loro politiche, i loro schemi culturali; i classici Disney (Aladdin, 2019) son pregni di ideali e di rappresentazioni che paragonati con alcuni di quelli attuali appaiono eccessivamente lontane, per questo le produzioni interessate stanno cercando sempre di più di raccontare le stesse storie con toni differenti, proponendo contenuti più culturalmente inclusivi, spesso esagerando. Infine, terzo punto è il pubblico e il ritorno monetario che ne consegue.
Avere l'assoluta certezza di accogliere spettatori giovanissimi per cui Lilli e il Vagabondo risulti una storia del tutto inedita, e contemporaneamente attrarre quel pubblico più adulto, già appassionato, che proprio con quel preciso cartone animato ci è cresciuto, rappresenta per Disney un flusso commerciale (monetario e sociale) di inestimabile valore.
Se solo tutto ciò venisse elaborato e trasposto in una maniera del tutto genuina allora il risultato sarebbe anche ben accetto, ma non è questo il caso (parzialmente). La sceneggiatura non si discosta particolarmente da quella originale, e la struttura narrativa è rimasta pressoché identica, e quindi in parte valida. Tuttavia, l'implementazione di numerosi elementi esageratamente politically correct (persone di colore fuori luogo nell'ambientazione e periodo storico proposti e la scelta di non far figliare i due cani protagonisti per esempio) risulta piuttosto furba e poco naturale.
La mano di Disney è sempre la stessa: fotografia patinata funzionale al racconto (nonostante riveli le evidenti pecche di scenografia, volutamente teatrali e artificiose), regia sufficiente con l'unico scopo di valorizzare le coreografie canine, assai bambinesche, attraverso l'impiego di lunghe carrellate e movimenti di macchina rapidi, e infine le musiche, valide se prese singolarmente ma difettive nel trasmettere quell'impatto emotivo che era usuale nel cartone originale (tra tutte, la famosa scena degli spaghetti, deturpata da scelte sbagliate, sia musicalmente che di mera scrittura). Infine, la computer grafica: la ricostruzione è risultata per Disney nettamente meno dispendiosa rispetto ad altri progetti live-action, l'impiego di cani-attori reali ha infatti assistito la produzione in fattori economici, riducendo il problema solamente in termini di movimenti e dialoghi, cercando di conferire ai quadrupedi espressioni maggiormente antropomorfe. Tutto ciò non è sufficiente, per ovvi motivi, a sostituire il film d'animazione del '55, obiettivamente migliore in tutto.
Se le operazioni dei remake fruttino o meno benessere alla casa di produzione di Topolino non deve interessarci, si deve invece indagare se questo tipo di iniziative portino un reale beneficio al cinema in generale, e di conseguenza accrescere il desiderio di contenuti e vivificare la massa intrattenuta, sperando che non accada l'effetto contrario: la polarizzazione e la ripetizione di contenuti tutti equivalenti l'uno con l'altro.
Caricamento modulo