In un futuristico e distopico Giappone i cani sono stati segregati su un'isola a causa di un'epidemia canina. Un giovane ragazzo, aiutato da cinque randagi, la esplora per cercare il suo animale domestico e sventare una cospirazione.
In un futuristico e distopico Giappone i cani sono stati segregati su un'isola a causa di un'epidemia canina. Un giovane ragazzo, aiutato da cinque randagi, la esplora per cercare il suo animale domestico e sventare una cospirazione.
Wes Anderson (I Tenenbaum, 2001; Grand Budapest Hotel, 2014) regala al pubblico un piccolo capolavoro d'animazione, che intreccia distopia classica ed ecologia, western e fantasy, cinema giapponese e avventura picaresca. Le tematiche alla base del film non sono certo nuove: l'eterno scontro fra cani e gatti per parlare di oppressi ed oppressori nel mondo umano, i riferimenti alle svariate forme di segregazione e genocidio nella Storia (dalle riserve indiane ad Auschwitz), il filone survivor e le storie personali degli eroi duri ma dal cuore d'oro.
Tuttavia, l'originalità del film sta appunto nel tenere le fila di tutti questi spunti in modo senza dubbio originale, con uno stile unitario che passa dall'azione fantascientifica alla satira politica. Il soggetto effettivamente è il punto allo stesso tempo più curioso e meno riuscito del film: non tutti i personaggi canini del film sono sviluppati alla perfezione nel loro background (va detto che sarebbe stato ben difficile, visto che la storia picaresca prevede molti personaggi più o meno comprimari) e alcune svolte nella trama sanno di già visto o banale.
In particolare, basti pensare alle due relazioni amorose, abbastanza scontate, alla conversione finale di Kobayashi che strizza troppo l'occhio all'happy end per famiglie e al deus ex machina dell'hacker a risolvere in positivo la situazione. Si tratta, ovviamente, solo di piccoli difetti in un film che rasenta la perfezione.
La sceneggiatura dello stesso Wes Anderson è infatti ricca di dialoghi brillanti, spunti comici e momenti di grande tensione emotiva, fin anche violenta, che quasi non ci si aspetta in un film d'animazione.
Per l'orecchio del pubblico è piacevolissimo sentire l'inglese alternato a un giapponese frenetico e vicino alla grammelot: un modo intelligente e ironico per sottolineare l'antagonismo fra mondo umano, cinico e militarizzato, e mondo selvaggio ma moralmente retto dei cani. Tale operazione linguistica è l'aspetto più caratterizzante dei personaggi, assieme al doppiaggio perfetto soprattutto per la sezione inglese. Il cast è una lunga sfilata di celebrità e non c'è una sola voce da attore in carne e ossa che risulti inadeguata al personaggio canino: il risultato è che sembra quasi che a recitare davanti alla cinepresa siano proprio gli attori, magicamente trasformati in animali.
La regia di Anderson, la fotografia di Tristan Oliver (Galline in fuga, 2000; Loving Vincent, 2017) e le scenografie di Paul Harrod e Adam Stockhausen (Grand Budapest Hotel; Il ponte delle spie, 2015), messe assieme, sono una vera e propria macchina da guerra. Alla simmetria maniacale che di Anderson è un marchio di fabbrica fin troppo citato, sono infatti alternati primi piani degli espressivi volti canini che ora commuovono, ora strappano un sorriso, ora rimandano ai mitici duelli di Sergio Leone. Colori e luci sono una gioia per gli occhi, così come i panorami dell'isola che sanno dare un tono epico e al contempo quasi steampunk all'ambientazione.
Ulteriore punto caratterizzante del film, l'animazione complessivamente curata da Jay Clarcke, Steve Moore, Félicie Haymoz, Anthony Elworthy e Jason Stalman. La tecnica dello stop motion è usata quasi alla perfezione, forse un po' snaturata a tratti dalla CGI che alle volte può apparire inopportuna. Rimane comunque un lavoro di squadra che comunica la pazienza è la dedizione che vi sono state dedicate, ed è ripagata da un pubblico cui le immagini difficilmente non restano impresse.
Menzione d'onore, infine, alle musiche di Alexandre Despair, che si è avvicinato nuovamente all'Oscar dopo averlo già vinto due volte, con Grand Budapest Hotel nel 2015 e con La forma dell'acqua tre anni dopo. Lo stesso film ha ottenuto una nomination: pur non avendola vinta,
L'isola dei cani è una fiaba per tempi moderni che va dritta al cuore di chi lo vede, e una dimostrazione che anche l'animazione può essere grande cinema, intelligente e piacevole allo stesso tempo.
Caricamento modulo