Il nomade post-apocalittico Max, fatto prigioniero da Immortan Joe, collabora con la ribelle Furiosa per trarre in salvo le mogli del signore della guerra.
Il nomade post-apocalittico Max, fatto prigioniero da Immortan Joe, collabora con la ribelle Furiosa per trarre in salvo le mogli del signore della guerra.
Quarto capitolo della saga di George Miller di Mad Max, il film riscrive una storia iniziata con Interceptor (1979) e continuata con Il guerriero della strada (1981) e Oltre la sfera del tuono (1985). Il primo capitolo dell'epopea di Max Rockatansky si distingueva per un controllo registico dell'azione in anticipo sui tempi. Nel secondo era più evidente il riferimento alla linearità del mito classico, archetipico. Il terzo spingeva più decisamente verso un estetica cyberpunk, non scevra di ironia. Mad Max: Fury Road, a trent'anni dall'ultimo, riunisce tutti pregi dei precedenti elevandoli a estremi livelli di ritmo narrativo e resa tecnica. Riprendendoli, infatti, Miller ha colto l'essenziale, levando il superfluo e denudando la dinamica narrativa a puro movimento.
La sceneggiatura, in primis, è ridotta all'osso ma decisa e sintetica. Intenzione di Miller e dei coautori Brendan McCarthy e Nico Lathouris era poter prescindere dai dialoghi, perché il film si capisse allo stesso modo in ogni parte del mondo. Fury Road è difatti un poema visivo viscerale che riprende semplicità e focus su mimica e movimento tipici del cinema muto (Buster Keaton, modello dichiarato di Miller, in particolare modo). La linearità della storia si amplifica considerando che il background dei personaggi viene accennato o lasciato sottinteso, cogliendo solo un frammento dell'universo narrativo immaginato. La quasi mancanza di dialoghi e l'apollinea nettezza del racconto potrebbero spiazzare e apparire come difetti per un cinema che è fatto di sola azione. Per converso, si potrebbe dire che solo il cinema è azione allo stato puro, e Fury Road ne indaga le radici.
A livello di scrittura dei personaggi, desta interesse Furiosa e perde curiosamente importanza proprio Max, ridotto quasi a pura funzione narrativa.
L'immaginario che viene ripreso dai precedenti, aggiornato, è visivamente impressionante e di grande impatto. Il deserto, da frontiera del Far West dove ogni legge è relativa, diventa una jungla i cui unici abitanti sono i motori. Lo scopo, inteso tecnicamente come aim narrativo, è sopravvivere. La storia è pervasa di morte, inteso come evento distruttivo ma anche come riconfigurazione della definizione di vita. L'essere umano diventa macchina così come Furiosa possiede un braccio bionico, Immortan Joe non può prescindere dalla propria maschera e Max è ridotto prima ad appendice vivente di Nox e poi a elemento integrante della sua vettura. L'ironia di Miller è un processo di ribaltamento ed esagerazione del rapporto funzionale fra corpo e oggetto, sulla scia nuovamente del maestro Keaton.
La regia di Miller risulta impressionante, nella coreografia degli attori e nel ricorso allo storyboard a cura di Mark Sexton. La macchina da presa si alterna fra inquadrature iperrealiste e barocche a primi piani ossessivi sui dettagli, senza dimenticare la lirica dei desertici campi lunghi. Ogni inquadratura è veramente un dipinto, grazie alla fotografia del premio Oscar George Seal (L'attimo fuggente, 1989; Il paziente inglese, 1996). Il montaggio è frenetico e tuttavia la direzione generale consente allo spettatore di imprimere nei propri occhi ogni singola immagine.
A proposito del montaggio visivo e sono da Oscar, a cura di Margaret Sixel, è fra gli elementi più caratteristici dell'opera nel suo complesso, prossimo alla perfezione. Ottime anche le interpretazioni, soprattutto quando tese a rendere la mimica del personaggio e ad esprimere i suddetti background, che esondano del recinto stesso della narrazione. Hardy raccoglie l'eredità problematica di Mel Gibson, non tanto per la qualità interpretativa di quest'ultimo quanto per la tradizionale connessione fra personaggio e interprete: si può dire in ogni caso che il nuovo Max sia autonomo, definito e originale. Ad alti livelli anche Theron e Hoult, alle prese con un carattere più plastico e oscuro.
Mad Max: Fury Road non chiude la saga di Mad Max. La apre bensì a nuovi sviluppi, alcuni dei quali già annunciati e in pre-produzione, e la proietta nel cinema contemporaneo come esempio di opera d'azione autoriale. Il tutto senza dimenticare il constante riferimento all'essenza primordiale del racconto cinematografico, fondamentalmente mostrativa e dinamica. Dialogando con la distopia post-apocalittica e il linguaggio videoludico, è in definitiva un trionfo delle potenzialità meccaniche del cinema.
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