Un ricercatore affetto da una rara patologia del sangue si trasforma in una sorta di vampiro.
Un ricercatore affetto da una rara patologia del sangue si trasforma in una sorta di vampiro.
Configurandosi come nuova propaggine del MCU e del suo espediente del multiverso, Morbius fin dalla sua uscita è stato definito da più parti come uno dei peggiori prodotti Marvel. Raramente il parere di critica e pubblico coincide, in negativo, così perfettamente: il risultato è un film la cui banalità paradossalmente è il difetto minore, e che nel suo tentativo di unire genere horror, di azione e fumettistico, riesce a fallire in tutti e tre.
Ciò che di solito rappresenta il pregio garantito dei film della terza tipologia è il ricorso efficace agli effetti speciali e alla CGI nella definizione visiva dei protagonisti: qui la carenza è evidente nella confusione delle scene di combattimento e nel decisamente poco riuscito design del personaggio principale. Come vampiro, verrebbe da dire, era più credibile Leslie Nielsen in Dracula – Morto e contento (1995) di Mel Brooks che, a differenza di Morbius, voleva essere un film intenzionalmente comico. Quanto alla componente orrorifica, inserita per sopperire alla poca forza della struttura filmica in sé, manca di tensione e dà l’impressione di rifarsi, con estrema stanchezza, ai classici e fin troppi visti stilemi di categoria: ambientazioni come la nave infestata da un vampiro, topos narrativo direttamente ripreso dalle varie versioni di Dracula, o sequenze quali l’uccisione dell’infermiera in ospedale mancano di brio, sorpresa, mordente.
Oltre a fallire nelle specifiche di genere, Morbius presenta veri e propri difetti nello svolgimento in sé, scritto da Matt Sazama e Burk Sharpless (Power Rangers, 2017): non basta l’apertura finale ad un altro universo narrativo – maldestro Deus ex-machina, di quelli che sconsigliano alla prima lezione in qualsiasi accademia di sceneggiatura - per risollevare una storia piatta, banale nei dialoghi e confusa nelle modalità del racconto. I salti temporali e le logiche che muovono i personaggi, a partire dallo stesso Morbius che realizza di avere dei poteri sovrannaturali e immediatamente dopo si consegna a due agenti di polizia, appaiono incomprensibili. Un ritmo di racconto decisamente schizofrenico conduce all’epifania finale di Michael Keaton, relegato a una sorta di cameo il cui unico scopo giustificabile appare un’elemosina di aspettative per un eventuale seguito.
Configurandosi come opera quasi stand-alone, per quanto legata ad altre linee narrative dell’universo Marvel, Morbius non lascia il segno né lascia presagire eventuali sviluppi in meglio.
La regia senza carattere, ma non certo terribile, di Jorge Daniel Espinosa (Life, 2017) non basta a nascondere palesi errori e sviste di montaggio a livello di continuità fra uno stacco e l’altro. Anche il mixaggio sonoro, bidimensionale e approssimativo, è disastroso. Quanto alle interpretazioni, la piattezza generale delle prove attoriali subisce l’onere di una scrittura dei personaggi povera e pigra. Per quanto tutt’altro che originale, dalla presenza di un protagonista diviso fra fragilità e superpotenza, etica e malvagità, passato e presente potevano scaturire dilemmi e conflitti, che qui non vengono espressi.
Ne consegue una performance da parte di Jared Leto che appare frustrante sia per lui che per lo spettatore: dotato di indubbio impegno e doti attoriali, Leto dà l’impressione di non avere dove esprimerle e pertanto dissiparle. Curiosamente, la prova precedentemente riconosciuta come la più infelice dell’attore lo vedeva nei panni di Joker in un film di supereroi della casa rivale di Marvel. Dopo aver preso parte al più rovinoso insuccesso dell’universo DC, Suicide Squad di David Ayer (2016), e aver doppiato il record con Morbius, Leto avrebbe tutte le ragioni per dedicarsi a progetti e generi ben distanti, dove gli sia possibile esprimersi al meglio, e mantenersi distante dai cinecomics.
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