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David Lynch

Mulholland Drive | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Mulholland Drive
Titolo Originale:
Mulholland Drive
Regia:
David Lynch
Uscita:
24 novembre 2001
(prima: 6/06/2001)
Lingua Originale:
en
Durata:
145 minuti
Genere:
Thriller
Dramma
Mistero
Soggetto:
Sceneggiatura:
David Lynch
Fotografia:
Peter Deming
Montaggio:
Mary Sweeney
Scenografia:
Barbara Haberecht
Musica:
Produzione:
Alain Sarde
Mary Sweeney
Neal Edelstein
Michael Polaire
Tony Krantz
Produzione Esecutiva:
Pierre Edelman
Casa di Produzione:
Asymmetrical Productions
Les Films Alain Sarde
Babbo Inc.
The Picture Factory
Canal+
Universal Pictures
StudioCanal
Budget:
$15 milioni
Botteghino:
$20 milioni
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Redazione

9.5

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Betty Elms / Diane Selwyn
Naomi Watts
Rita / Camilla Rhodes
Laura Harring
Adam Kesher
Justin Theroux
Coco
Ann Miller
Joe
Mark Pellegrino
Detective Harry McKnight
Robert Forster
Detective Neal Domgaard
Brent Briscoe
Vincenzo Castigliane
Dan Hedaya
Luigi Castigliane
Angelo Badalamenti
Cowboy
Monty Montgomery
Louise Bonner
Lee Grant
Wally Brown
James Karen
Jimmy Katz
Chad Everett
Magician
Richard Green
Herself
Rebekah Del Rio
Camilla Rhodes
Melissa George
Irene
Jeanne Bates
Irene's Companion
Dan Birnbaum
Lorraine Kesher
Lori Heuring
Vincent Darby
Marcus Graham

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Una donna in stato di shock e totale amnesia viene soccorsa da un'aspirante attrice. Nel contesto oscuro e malavitoso della Hollywood più segreta, le due donne cercheranno di risolvere un mistero da tratti irreali.

Recensione:

Indicato da varie fonti come il film più importante del nuovo millennio, Mulholland Drive spinge effettivamente in avanti le potenzialità della narrazione cinematografica. Nato come episodio pilota di una serie televisiva poi mai realizzata, sulla scia del successo de I segreti di Twin Peaks (1990-91), è inoltre la summa stilistica e tematica dell'autore David Lynch. La struttura narrativa a incastro e ricorso, debitrice del suo precedente Strade perdute (1997), permette al regista di Missoula di costruire un noir in cui il senso del tempo viene stravolto, facendosi, più che narrazione, vera e propria ricognizione psicoanalitica negli aspetti più perturbanti dell'inconscio.

In effetti, ciò che viene mostrato attraverso le vicende allucinate della storia non è altro che un mistero risolubile con l'elaborazione di un «rimosso» di colpa. Il quale emerge, nella superficie onirica della prima parte del film (quella fantasmatica, traslata, frutto di una mente non ancora in grado di processare la realtà), proprio con le cosiddette figure dell'unheimlich (perturbante) teorizzato da Sigmund Freud. L'omicido di Camilla, rimosso appunto da Diane, prende la forma di una favola di amicizia, quella fra Betty e Rita. Nel corso della loro vicenda, il mondo familiare è costellato di elementi nascosti in piena vista (heimlich ha il doppio significato di «familiare» e «nascosto»). Il nascosto che affiora, generando senso di inquietudine, è appunto unheimlich. Si arriva così alla risoluzione finale, uno dei colpi di sceneggiatura più celebri della storia del cinema, in cui lo spettatore non può fare altro che ripercorrere a ritroso quanto visto trovandone una spiegazione, ovviamente solo in parte, razionale.


Gli elementi chiave per la comprensione ci sono, solo vanno scovati: il turning point avviene significativamente in teatro, luogo della finzione per eccellenza, ma anche luogo dove tale finzione si disvela per ciò che è.


Il playback viene alla luce proprio nel momento in cui viene rinvenuta la chiave, che apre la scatola nera del subconscio: in aeronautica, la cosiddetta scatola nera è effettivamente lo strumento di registrazione per ricostruire gli incidenti. In psicanalisi, l'incidente è detto trauma, il cui etimo ha a che fare con «sogno» (traum in tedesco). Sempre continuando con le etimologie, si ricordi come «verità» e «disvelamento» sono connessi con il tema della memoria: il greco aletheia è infatti la negazione di lethe, «oblio», connesso al verbo lanthano, «nascondere». Questa divagazione ci riporta, come in una trama di Lynch, proprio all'heimlich («nascosto») di cui sopra. Eppure, come notò a suo tempo il filosofo Martin Heidegger, aletheia, essendo ciò che emerge dall'ombra, è qualcosa di meno della verità in senso proprio: potrebbe, semmai, essere un fattore che compare in quanto evento discontinuo in una trama di continuità marcata da inganno, come il barbone di Mulholland Drive.

Mulholland Drive, dal punto di vista della regia e della sceneggiatura, è questo: un incubo del quotidiano, raccontato dalla mano languida, onirica e ambigua di David Lynch. Ovviamente, vi è di più: il film è anche un grande omaggio al cinema stesso. La narrazione e l'esperienza cinematografica sono, per Lynch, ciò che più si avvicina al sogno, alla trasposizione immaginifica compiuta dalla mente irrazionale, alle pulsioni desideranti di morte ed eros. Non mancano, pertanto, i riferimenti ai miti della Settima arte secondo Lynch: dal noir hollywoodiano di Viale del tramonto (Billy Wilder, 1950) all'Alfred Hitchcock de La donna che visse due volte (1958) e Psyco (1960), quest'ultimo in particolare per la struttura narrativa binaria.

Ad affiancare la maestria di Lynch, dal punto di vista tecnico, si segnala la fotografia del suo collaboratore abituale Peter Deming (noto anche per Quella casa nel bosco, 2012): colori iperrealisti, nuovamente onirici, con la dominante di quello che potremmo definire «blu velluto» (parafrasando il celebre Blue velvet, 1986, sempre di Lynch). Se le interpretazioni, per quanto difficoltose siano le parti, risultano adeguate, è infine la colonna sonora di Angelo Badalamenti a fare padrona come nella maggior parte dei film del regista.

Mulholland Drive, se per eccesso di cautela non si volesse definire rivoluzionario, è senza dubbio l'opera che ha posto le basi per un nuovo tipo di narrazione, capace in due sole ore di far fronte, ancora oggi, alle serie televisive odierne tanto acclamate per la loro complessità. Le quali, senza il film in questione e senza Twin Peaks, avrebbero difettato di illustri modelli.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 23 novembre 2019.

Pro:

  • La struttura narrativa rivoluzionaria e la complessità delle interpretazioni possibili.
  • La riflessione meta-cinematografica profonda.
  • Comparti visivo, tecnico, musicale onirica e concordi con l'ambivalenza della trama.

Contro:

  • Apparente caoticità per lo spettatore più disattento.

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