Tre famiglie, agli antipodi fra loro ma tutte attraversate da conflitti, si ritrovano a condividere per errore la stessa casa in vacanza. Ne nasceranno equivoci, scontri e nuove prospettive.
Tre famiglie, agli antipodi fra loro ma tutte attraversate da conflitti, si ritrovano a condividere per errore la stessa casa in vacanza. Ne nasceranno equivoci, scontri e nuove prospettive.
Odio l'estate non segna solo il ritorno, per Aldo, Giovanni e Giacomo, a quella tipologia di commedia agrodolce e surreale che li aveva resi il fenomeno più interessante della produzione leggera italiana a cavallo di millennio, ma apporta anche alcuni elementi in più. Per comprenderlo, è necessario un breve excursus sul loro percorso. Era stato proprio Massimo Venier a dirigerli in una sorta di trilogia composta da Tre uomini e una gamba (1997), Così e la vita (1998), Chiedimi se sono felice (2000), cui si aggiunge in misura minore il successivo Tu la conosci Claudia? (2004). Evolvendo gradualmente dalla forma di teatro da cabaret ad una più cinematografica, questi film presentavano elementi ricorrenti e ben riconoscibili: la tematica dell'amicizia fra tre caratteri ben delineati e identificabili, i dialoghi realistici e ironici, il sapiente ricorso al pop italiano e soprattutto l'orizzontalità spaziale del viaggio: le tratte in macchina, attraverso un'Italia venata di malinconia e contraddizioni, recuperavano le modalità narrative della commedia all'italiana classica (Il sorpasso di Dino Risi, 1962) e offrivano spunti di riflessione per i personaggi e lo spettatore messo nelle condizioni di identificarsi con loro.
In mezzo, sempre sotto la direzione di Massimo Venier, La leggenda di Al, John e Jack (2002) si discostava da questi stilemi, rifacendosi non più alla commedia di Risi e Scola ma a Totò, Peppino, i fratelli Marx: un gangster movie sgangherato insolitamente sadico per i tre attori, caratterizzato da un lessico simil-siciliano di forte impatto comico e da una inaspettata cura, raffinata e cinefila, di regia e fotografia. Successivamente, sia per qualità che per successo presso il pubblico, il trio sembra perdersi per strada: da un lato vengono meno le tematiche e le caratterizzazioni che li avevano resi celebri, dall'altro la stanchezza di alcune gag comincia a farsi sentire. Per giunta, manca la collaborazione di Venier. Di quel periodo l'unico film degno di nota è La banda dei Babbi Natale (2010), la cui riuscita è più attribuibile al regista Paolo Genovese che alla presenza dei tre, ormai irriconoscibili. Va notato come, parallelamente, anche la loro carriera teatrale si muova verso toni più crepuscolari, fra remake dei vecchi sketch e gag sull'anzianità (al centro di Fuga da Reuma Park, 2016, film per molti tanto disastroso da averli indotti a una lunga pausa).
Odio l'estate è quindi, innanzitutto, un film di ritorni. Ritorno di Venier a dirigere, ma anche e soprattutto delle suddette, fortunate, formule. La sceneggiatura, scritta dai quattro sodali assieme a Davide Lantieri e Michele Pellegrini, riporta in scena i tre caratteri, esasperati ma saldamente ancorati alla realtà, dei protagonisti: loro sono nuovamente le gag linguistiche, i bisticci, i conflitti che esplodendo portano a ridefinizioni dei rapporti. All'orizzontalità del viaggio in macchina si aggiunge la circolarità di uno spazio fisso, quello della casa e della località balneare, costruito come spazio altro rispetto alla quotidianità (Milano) e tuttavia in grado di evitare, se non come nota di costume, gli stereotipi sul Meridione così presenti nella commedia italiana contemporanea (si veda l'inizio di Tolo Tolo di Checco Zalone, 2020).
Tuttavia, la sceneggiatura non si limita a un semplice effetto nostalgia ripreso di pari passo dai film di vent'anni prima ma sa adattarsi al tempo. Aldo, Giovanni e Giacomo, per la prima volta nella loro carriera, si confrontano con toni e temi decisamente più drammatici: se la morte era, in Così è la vita, trasfigurata in pura fantasia metafisica, e in Al, John e Jack fatta oggetto di humor nero, qui diventa opzione tangibile della vita, che irrompe nel momento di massima felicità e a cui non si oppone rimedio se non una storica e serena rassegnazione. I tre comici, consapevoli di una propria evoluzione, puntano sulla malinconia e sulla risata amara come mai prima: la scrittura dei loro personaggi ne risente in positivo, rendendoli, da semplici macchiette, caratteri a tutto tondo.
Se nei film precedenti Aldo, Giovanni e Giacomo erano ancora giovani combina-guai, gioiosamente indecisi sulle proprie vite, qui sono tre sessantenni alle prese con figli da crescere, famiglie da salvare, persone amate da proteggere:
il mediocre Il cosmo sul comò (2008) si chiudeva con Giacomo desideroso di diventare padre, Odio l'estate si apre con lo stesso che deve imparare a esserlo per davvero. Ultima novità rispetto al passato, la presenza di personaggi femminili più approfonditi e in grado di fare da controparte al trio: in passato, a controbilanciare il divagare comico dei tre, era quasi sempre un'unica donna dal carattere complesso (Marina Massironi o Paola Cortellesi); qui invece le dinamiche fra mogli, cui è dedicato uno spazio più ampio, creano una linea narrativa parallela a quella maschile, meno conflittuale ma non meno completa.
La sceneggiatura, in sintesi, è colma di gag senza scadere mai nel demenziale (pure le volgarità, all'acqua di rose ma più presenti che in passato, hanno un senso nell'economia complessiva), ben costruita per quanto mai complessa e attenta allo sviluppo dei personaggi. È vero poi che la story-line di Giovanni è meno approfondita di quelle dei due comprimari, così come la storia d'amore fra gli adolescenti in più punti rasenta l'imbarazzante (che è quanto succede quando l'adolescenza è narrata da adulti che vogliono forzatamente entrare nelle dinamiche giovanili). Tuttavia anche quest'ultima, punto più debole della scrittura, acquista senso in quanto all'origine, nella trama, della convivenza forzata fra famiglie. Ne conseguono, pertanto, interpretazioni mediamente buone: il trio comico si fa più riflessivo, meno versato alla risata esplosiva e più al conflitto espresso con leggerezza. Da segnalare, in una parte minore, macchiettistica ma non banale, la prova di Michele Placido. La regia di Venier davvero dà il proprio meglio, stavolta, nella direzione complessiva di un cast di attori tutti in primo piano e li sa nobilitare con primi piani e scene collettive di artigianato semplice ma adeguato. La fotografia di Vittorio Omodei Zorini (Quo vado?, 2016), a propria volta, non ruba spazio agli attori ma non per questo risulta trascurata; lo è, forse, di più il montaggio di Enrica Gatto (proveniente da numerose esperienze di documentario), che si limita a raccordare inquadrature in cui, a fare da protagonista, sono i dialoghi e le espressioni mimiche di chi recita.
Un'ultima nota riguarda la colonna sonora, firmata dal cantautore indie Brunori Sas e, come in passato nei film di Aldo, Giovanni e Giacomo, buon compendio nei momenti di transizione fra un momento e l'altro dello sviluppo. La presenza nella pellicola di Massimo Ranieri consente, inoltre, di attingere a piene mani da quel repertorio pop che, se da un lato strizza l'occhio allo spettatore italiano con estrema facilità, dall'altro si riferisce a un'ampia koiné di ritornelli nazional-popolari in cui chiunque può riconoscersi. La forza della comicità di Aldo, Giovanni e Giacomo, d'altra parte, è sempre stata questa: portare sullo schermo il quotidiano. Evitando la satira politica facile e scontata di certi film italiani, e la volgarità gratuita ormai nota di altrettanti cine-panettoni, hanno raccontato sentimenti comuni ad almeno due generazioni di spettatori. Odio l'estate, dopo un periodo di progetti non all'altezza delle aspettative, li riconferma come maestri di un intrattenimento elegante, mai pretenzioso e tuttavia di piacevole qualità.
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