Un uomo, forzatamente rinchiuso per anni in un appartamento e finalmente uscitone, deve scoprire il responsabile della propria incarcerazione e dell'omicidio della moglie.
Un uomo, forzatamente rinchiuso per anni in un appartamento e finalmente uscitone, deve scoprire il responsabile della propria incarcerazione e dell'omicidio della moglie.
Oldboy è la seconda pellicola della cosiddetta Trilogia della vendetta del regista e sceneggiatore Park-chan Wook, dopo Mr. Vendetta (2002) e prima di Lady Vendetta (2005). Presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2004 e vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria, Quentin Tarantino ebbe a dirne che avrebbe voluto realizzare un film così. In effetti, per il pubblico occidentale, è facile ricondurre lo stile e le tematiche al regista statunitense: in particolare, al coevo dittico di Kill Bill (2003/04). Non bisogna però dimenticare, onde non attribuire indebitamente al regista di The hateful height l'invenzione completa di un nuovo modo di fare film, come entrambi i registi si inseriscano nel filone, sorto negli anni '90, del cinema barocco e postmoderno. Inoltre, non è mai stata un segreto l'ispirazione di Tarantino ai film orientali.
La tematica della vendetta, in Oldboy, viene ricondotta innanzitutto alla memoria e alla colpa personale. Quello a cui assistiamo, di fatto, è un triplo percorso di vendetta/espiazione: in primis, di Oh Dae-su verso il proprio carnefice; in secondo luogo di Lee Woo-jin nei confronti di chi gli ha rovinato la vita; infine, di entrambi verso le proprie colpe e fantasmi. Non vi è innocenza ma disperazione, non perdono ma espiazione. La prigione interiore dei protagonisti, incarnata ora nella cella di detenzione, ora negli impedimenti fisici (la malattia cardiaca di Woo-jin), viene solo apparentemente distrutta con la moltiplicazione della catena di violenza. Ciò che conta è il percorso di auto-consapevolezza, la “ricerca del tempo perduto”: Marcel Proust è fra gli autori europei più apprezzati in Oriente e il riferimento ai noti sapori della madelaine, qui parodiata con i ravioli, indica innanzitutto la strada dei ricordi. Se, con i quali, sia o meno catartico scendere a patti per redimersi, è lasciato al giudizio dello spettatore con l'ambiguità del finale.
La sceneggiatura, sintatticamente legata con lo stile di regia fuori dagli schemi, alterna scene d'azione a momenti riflessivi che bloccano la narrazione e sospendono la stessa finzione filmica.
Se le prime rasentano volutamente il comico, pur restando violente e ciniche oltre ogni limite, le seconde risultano strazianti. Oldboy potrebbe lasciare perplesso lo spettatore occidentale, più abituato alla compattezza e al realismo che alla comunicazione sinestetica e per sensazioni. Grande importanza rivestono, pertanto, le musiche e i colori. Le prime, affidate ora a Jo Yeong-Wook ora agli autori di musica classica, agiscono principalmente per contrasti: le une accompagnano come contrappunto ironico le sequenze di lotta, le altre risultano stranianti quando accostate alla tortura, alla morte, all'orrore. Quanto ai colori, frutto del lavoro di fotografia di Chung-Hoon Chung, si passa dai toni bui e lividi, iperrealisti, che caratterizzano le fasi di scioglimento del mistero, a toni più realistici, correlati agli eventi passati. Infine, l'ambiguità della conclusione è affidata al candore della neve, simbolo di innocenza e rinascita come di morte (si veda la simbologia del bianco in Arancia meccanica), che attornia l'espressione dell'eccellente attore protagonista.
Il continuo andirivieni fra passato e presente, mondo interiore ed esteriore, è affidato invece al montaggio, efficace e fantasioso, di Kim Sang-Bum. Il quale dà prova di maestria anche nelle scene d'azione, giocando con i rallenty e la composizione di immagine del tutto originale di Park-chaan Wook. La stasi dei movimenti fino a creare vere e proprie icone, l'utilizzo abbondante di grandangoli e le disposizioni pittoriche caratterizzano la scrittura visiva del regista, così come la scrittura scenica è caratterizzata da motivi riflessivi, voice over e moltiplicazioni dei punti di vista, e delle versioni conseguenti della verità, così rari da trovare nei film d'azione americani.
In effetti, definire Oldboy un film d'azione è riduttivo. Si tratta più di una favola filosofica sulla tragica condizione umana, sul senso dell'interrelazione e sul rapporto con se stessi. Motivi che, amalgamati a una veste senza dubbio avventurosa e al limite dello splatter e inserita in una struttura narrativa di detection, dà adito a un vero cult del nuovo millennio.
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