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Robert Zemeckis

Pinocchio | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Pinocchio
Titolo Originale:
Pinocchio
Regia:
Robert Zemeckis
Uscita:
8 settembre 2022
(prima: 7/09/2022)
Lingua Originale:
en
Durata:
105 minuti
Genere:
Fantasy
Avventura
Famiglia
Soggetto:
Sceneggiatura:
Robert Zemeckis
Chris Weitz
Fotografia:
Don Burgess
Montaggio:
Mick Audsley
Jesse Goldsmith
Scenografia:
Tina Jones
Musica:
Alan Silvestri
Produzione:
Robert Zemeckis
Chris Weitz
Andrew Miano
Derek Hogue
Produzione Esecutiva:
Paul Weitz
Jack Rapke
Jacqueline Levine
Jeremy Johns
Casa di Produzione:
Walt Disney Pictures
Depth of Field
Budget:
$0
Botteghino:
$0
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Redazione

4

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Pinocchio (voice)
Benjamin Evan Ainsworth
Geppetto
Tom Hanks
Jiminy Cricket (voice)
Joseph Gordon-Levitt
The Coachman
Luke Evans
Blue Fairy
Cynthia Erivo
'Honest' John (voice)
Keegan-Michael Key
Sofia the Seagull (voice)
Lorraine Bracco
Fabiana
Kyanne Lamaya
Signore Rizzi
Angus Wright
Headmaster
Jamie Demetriou
Sabina (voice)
Jaquita Ta'le
Lampwick
Lewin Lloyd
Stromboli
Giuseppe Battiston
Signora Vitelli
Sheila Atim
Dancer
Hannah Flynn

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

L’artigiano Geppetto fabbrica un burattino di nome Pinocchio, che per magia prende vita.

Recensione:

Dal classico racconto di Carlo Collodi (1883) la Disney aveva già tratto, quale secondo Classico del canone, un eponimo film d’animazione nel 1940. Si trattava, allora, di una reinterpretazione sicuramente libera ed edulcorata rispetto all’originale, spogliato dell’umorismo macabro, delle metafore filosofeggianti e massoniche e della feroce critica pedagogica tipiche dell’autore toscano. Tuttavia il film del 1940, per quanto non fra i più riusciti della casa di produzione, aveva il merito di far conoscere al mondo intero le creature e i personaggi di Collodi, creando una versione della favola più lineare ma comunque gradevole. Da allora al 2022, la vicenda di Pinocchio è stata fra le storie d’autore più adattate di sempre: dalla classica versione televisiva di Luigi Comencini (1972) a quella più sfortunata di Roberto Benigni del 2002, dalla trasposizione cantautoriale di Edoardo Bennato nell’album Burattino senza fili (1977) a quella teatrale di Carmelo Bene del 1961, passando addirittura per la parodia che Totò ne diede in Totò a colori (1952) di Steno, il burattino animato e le sue avventure hanno sempre affascinato il pubblico di ogni epoca ed età. Questo successo si spiega non solo con l’efficace mosaico di personaggi e fantasie che Collodi mette in scena, ma anche con la profondità e la molteplicità di livelli di lettura della sua opera: dai poeti latini Ovidio e Apuleio alla favola popolare italiana, dalla simbologia biblica alla critica sociale, il Pinocchio di Collodi è una storia solo apparentemente semplice. Almeno su grande schermo, la versione più fedele allo spirito originale resta quella del 2019 di Matteo Garrone: il Classico Disney del 1940, pur apprezzabile, mostra già i limiti di un adattamento troppo libero e semplificato del racconto.

La nuova versione del 2022, più remake del predecessore animato che adattamento del libro, può essere definita, senza mezzi termini, disastrosa. Occorre innanzitutto rinvenirvi l’ormai consolidato schema degli adattamenti in live action dei Classici animati Disney, a riprova di come la casa di produzione, negli ultimi anni, si sia davvero specializzata nella produzione a stampo rinunciando alla creatività che l’ha resa un pilastro portante del cinema popolare nel secolo scorso. Se si confrontano Pinocchio e, a titolo d’esempio, il Dumbo del 2019, si ritrovano pressoché identici gli stessi elementi: almeno un protagonista adulto interpretato da attore noto (Tom Hanks e Colin Farrell), un nome di certo peso alla regia (Robert Zemeckis e Tim Burton), un generale ammorbidimento di elementi di costume oggi potenzialmente criticabili, personaggi altamente commercializzabili su supporto ludico – in parole povere, peluche –, un lieto fine il più possibile accomodante e un’impostazione più attenta all’attrazione visiva che alla coerenza narrativa. Entro tale regime di lavoro è lecito mettere in dubbio la qualità del prodotto finale pur ammettendo che non per forza il cinema debba essere autoriale: va sottolineato, peraltro, come proprio il Dumbo di Tim Burton sia fra i pochissimi remake riusciti proprio grazie all’inconfondibile tocco del regista. Ciò non si può dire del film di Zemeckis.

Il primo e principale errore risiede nella sceneggiatura, scritta dallo stesso Zemeckis (Forrest Gump, 1994) con Chris Weitz (Z la formica, 1998). Lo sviluppo della trama, nel tentativo – peraltro non riuscito – di non ricalcare troppo i predecessori, risulta freddo e poco emozionante, nonché privo di ritmo o di reali sorprese. Il sistema dei personaggi, poi, viene straziato del tutto tradendo buona parte del significato profondo del racconto: i ruoli di Mangiafuoco, del Gatto e della Volpe, più lineari e piatti rispetto al racconto di Collodi, sono ripresi senza sforzo dalla versione del 1940, mentre Lucignolo risulta quasi non pervenuto. Non si capisce poi la necessità di rendere vedovo Geppetto.


Lo zelo nel riproporre il pesciolino domestico dell'artigiano e a sovrapporre la figura del Pesce-cane a quella di una balena, elementi inesistenti in Collodi ma presenti nel film d’animazione, fa sorgere legittimamente il dubbio che gli sceneggiatori non abbiano mai letto il libro.


Regia ed effetti speciali di John Pilgrim sono innegabilmente riusciti e, pur non giustificando l’operazione complessiva, la CGI si risolve in uno spettacolo visivo di sicuro e crescente impatto. Sorge tuttavia il dubbio che tale dispendio di risorse e attenzione avrebbe dato risultati migliori se allocato anche sul versante della coerenza narrativa: bisognerebbe ricordare alla Disney che il cosiddetto cinema delle attrazioni, basato unicamente sulla sorpresa visiva, è finito storicamente attorno al 1915 con Nascita di una nazione di D. W. Griffith. La fotografia di Don Burgess, collaboratore di fiducia di Zemeckis, è quella rassicurante, gradevole e al contempo stucchevolmente patinata dei prodotti per l’infanzia contemporanei. Viene davvero da chiedersi come mai le odierne case di produzione per il grande pubblico sottovalutino a tal punto i propri spettatori, da sentire il bisogno di rassicurarli di continuo con artifici visivi.

Si può giustificare con svariati e legittimi argomenti l’operazione di revisione che la Disney sta compiendo dei propri classici: al di là del rinnovo dei diritti di sfruttamento a fini commerciali, è innegabile come i tempi, le sensibilità e gli attori sociali cambino e ciò che poteva essere considerato un buon film per l’infanzia oggi potrebbe risultare meno efficace. A quanti si lamentano dell’eccessivo numero di remake e riadattamenti negli ultimi anni, bisognerebbe ricordare che nel corso della storia del cinema lo si è sempre fatto: basti pensare al personaggio di Dracula, da cui sono stati tratti almeno tre capolavori di genere, in altrettanti diversi decenni, per le regie di F. W. Murnau, Werner Herzog e Francis Ford Coppola. La natura stessa della narrazione, dai tempi di Omero in poi, implica il rifacimento. Se ne deduce che il remake non è giocoforza sinonimo diretto di bassa qualità. Questo rende la Disney ancora più responsabile della povera riuscita dei suoi live action: non è l’idea del remake ma il mestiere, affogato in una concezione ipertrofica, tentacolare e irrispettosa del pubblico di cinema commerciale, a mancare.

A cura di Michele Piatti.
Pubblicato il 14 settembre 2022.

Pro:

  • CGI riuscita da un punto di vista visivo.

Contro:

  • Remake sostanzialmente povero di idee e maldestro nelle poche trovate originali.
  • Presa narrativa inesistente.

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