Le storie di una donna condannata a essere uomo, di un misterioso terrorista e di un altrettanto misterioso agente governativo sono legate in un intricato intreccio di loop temporali.
Le storie di una donna condannata a essere uomo, di un misterioso terrorista e di un altrettanto misterioso agente governativo sono legate in un intricato intreccio di loop temporali.
Un thriller fantascientifico intricato e a tratti intrigante, purtroppo ben al di sotto delle potenzialità di un soggetto un po' troppo avviluppato su sé stesso ma comunque affascinante. Ethan Hawke offre una buona performance, soprattutto nel finale, ma a tratti sembra in prima persona poco convinto dalla sceneggiatura, e non ha torto: il soggetto, come già rilevato, è potenzialmente molto interessante ma la scrittura è di livello rudimentale (il terribile doppiaggio italiano sicuramente peggiora la situazione) e neanche il ritmo creato dalla recitazione di Hawke e Snook riesce a salvare i dialoghi da una banalità a tratti sconcertante. L'espediente del terrorista, abusato e di facile presa sul pubblico, mostra la superficialità della sceneggiatura, troppo impegnata a creare un gioco di scambi di identità da settimana enigmistica a scapito dell'eleganza dell'intreccio e della caratterizzazione dei personaggi. Analogamente, l'inclinazione alla violenza e alle materie scientifiche (classicamente campi “maschili”) come indizio della mascolinità di John/Jane banalizza il senso della transessualità, usata come espediente del tutto inverosimile (anche per un film sui viaggi temporali) per incentrare la trama su un unico personaggio; nonostante l'assurdità al limite del demenziale in cui avviene il cambio di sesso, Sarah Snook risulta comunque convincente nell'esprimere il disagio del trovarsi in un nuovo corpo.
A livello estetico l'unica parte piuttosto interessante del film è l'inizio della storyline ambientata negli anni ‘70, richiamati dallo stile vagamente New Hollywood (simpatica la citazione di Toro scatenato, Scorsese, 1983 alla televisione), ma comunque nessuna particolare vetta è raggiunta e l'opera si mantiene sempre su un piano visivamente mediocre. La fotografia è senza infamia e senza lode, priva di particolari pregi ma esente da pesanti difetti, così come la regia, che offre qualche totale suggestivo subito appiattito da primi piani basici e campi/controcampi scontati. Qualche riserva sul montaggio, che talvolta confonde la narrazione, e sul sonoro: il film spesso non riesce a trovare i giusti equilibri di intensità tra parlato, rumori ambientali e musiche, mentre la colonna sonora risulta banale, piatta e in tutto e per tutto già sentita.
È interessante notare che il film, pur non potendo assolutamente competere a livello tecnico con le opere di Nolan, all'inizio ricorda vagamente Memento (Nolan, 2000), mentre la sua struttura narrativa anticipa in parte Tenet (Nolan, 2020). Il film dei fratelli Spierig, al loro quarto lungometraggio, ha in generale il merito di anticipare di qualche anno la tendenza dell'intreccio basato su loop temporali, oggi molto in voga (oltre a Tenet si vedano le serie Netflix Dark e Russian Doll, ma anche il più recente Palm Springs, Barbakow, 2020) e quindi, nonostante la sua mediocrità, stupisce che sia così dimenticato.
Pur considerando i numerosi difetti della sceneggiatura, inoltre, il ritmo della narrazione risulta scorrevole e il film è tutto sommato godibile, qualità importante per un prodotto di intrattenimento che purtroppo non riesce a sfruttare il proprio potenziale:
la tematica del viaggio nel tempo è infatti in grado di creare trame decisamente più incisive, come dimostrato oggi in primo luogo da Dark e in passato da Ritorno al futuro, Zemeckis, 1985), decisamente più coerente e meglio realizzato di Predestination pur rimanendo a sua volta nell'intrattenimento e avendo anzi molte meno pretese.
In definitiva, il film è sviluppato in modo decisamente confusionario, ma comunque non è privo di un nucleo interessante, ovvero un loop temporale in cui i personaggi risultano inchiodati alle proprie azioni: questo tema è però esponenzialmente meglio esplorato in Dark, serie con cui l'opera degli Spierig (Undead, 2003; Daybreakers, 2009) ha diversi tratti in comune e che dimostra quanto sia stato sprecato dai registi il potenziale del soggetto, tratto da un racconto di Heinlein.
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