La storia di un comico senza speranza, disposto a tutto pur di ottenere il successo.
La storia di un comico senza speranza, disposto a tutto pur di ottenere il successo.
Presentato in concorso al Festival di Cannes del 1983, Re per una notte si dimostrò un flop al botteghino, salvo tuttavia essere rivalutato positivamente da critica e pubblico nel corso del tempo. Dopo le brillanti collaborazioni in Mean Streets (1973), Taxi Driver (1976), New York, New York (1977) e Toro scatenato (1980), Martin Scorsese decide di avvalersi ancora una volta delle eccelse qualità attoriali di Robert De Niro per rappresentare un uomo solo e patetico, vittima inconsapevole della società mediatica statunitense, oggetto principale della feroce satira presente nel film. Rupert Pupkin è un comico che non fa ridere, o meglio, che suscita ilarità nello spettatore non tanto per le sue battute (poco originali e nel complesso dimenticabili), quanto piuttosto per la sua misera condizione mentale e per la goffaggine con cui attua il suo piano disperato, finalizzato al conseguimento del successo. Un'ilarità dunque amara e mista a commiserazione, che rende la pellicola in esame un dramedy decisamente più sbilanciato verso il drama che la comedy.
La sceneggiatura del film, infatti, nonostante lasci forse eccessivamente sullo sfondo i personaggi femminili, mai adeguatamente approfonditi, possiede l'inestimabile pregio di riuscire a delineare in modo impeccabile la fragile psiche del protagonista, continuamente in bilico tra realtà e immaginazione. Sebbene in un primo momento questa linea di demarcazione venga palesata dal brillante montaggio di Thelma Schoonmaker, che alterna scene frutto della fantasia di Pupkin a scene del reale (valorizzate dal geniale inserimento della voce fuori campo di sua madre), con il progressivo sviluppo della narrazione questa evidenza formale viene meno, pur restando comunque sempre agevole allo spettatore distinguere ciò che il protagonista sta vivendo, da ciò che invece sta soltanto immaginando. Ecco dunque che quando Jerry si complimenta con Pupkin, invitandolo a casa sua, o quando addirittura Pupkin si sposa in diretta televisiva, nessuno ha dubbi sul fatto che l'uomo stia facendo uno dei suoi sogni ad occhi aperti, dando corpo ai suoi desideri più reconditi. Eppure la scena di chiusura è così ben costruita da risultare impossibile avere la certezza che il protagonista abbia davvero ottenuto il successo tanto agognato, proprio in ragione delle fantasie più volte inserite nel corso del film. L'apertura del finale consente pertanto una duplice e drammatica lettura dell'opera: nel caso in cui Pupkin stia sognando, l'America si dimostra la patria di una società mediatica, irrimediabilmente deviata e psicotica, senza via d'uscita; se Pupkin invece ce l'ha fatta, gli Stati Uniti, oltre a quanto appena detto, finiscono per rappresentare anche il luogo in cui è possibile il conseguimento del successo solo tramite una perseverante violazione della legalità. In entrambi i casi, il Sogno americano ne esce con le ossa rotte.
La regia di Scorsese si dimostra ancora una volta di alto livello, alternando con maestria due piani di messa in scena diversi: da un lato quello cinematografico, dall'altro quello televisivo, entrambi accomunati dall'invadente figura del protagonista, onnipresente sullo schermo.
Non particolarmente esaltante risulta invece la fotografia, basata su toni abbastanza freddi e poco vibranti, sui quali spiccano pochi elementi di colore, di solito uno per scena (rosso, viola, blu). Degne di nota sono infine le interpretazioni del cast: Robert De Niro riesce magistralmente a caricare su di sé il peso enorme del film, offrendo una delle prove più brillanti – e inspiegabilmente meno riconosciute – della sua straordinaria carriera. Bravissimi anche Sandra Bernhard, sua controparte femminile, e Jerry Lewis.In conclusione, occorre segnalare l'inscindibile legame esistente tra Re per una notte e altre due pellicole: la prima è Taxi Driver, film del 1976 sempre diretto da Scorsese, incentrato sulla controversa figura di Travis Bickle, il quale, oltre a essere interpretato dallo stesso De Niro, sembra presentare similitudini caratteriali proprio con Rupert Pupkin (entrambi sociopatici con enormi difficoltà nel tracciare un confine tra la realtà oggettiva e soggettiva); la seconda consiste invece nel più recente Joker (Todd Phillips, 2019), che per stessa ammissione del regista è apertamente ispirato ad entrambe le suddette opere scorsesiane, pur conferendo al protagonista del film, interpretato da Joaquin Phoenix, un fascino eroico di cui Pupkin è sprovvisto. Non è un caso che anche nel Joker di Phillips sia presente Robert De Niro, nei panni di un illustre presentatore comico televisivo.
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