La confessione, in forma di musical, dell'artista Elton John, che si confronta con la propria carriera giovanile segnata da successi, affetti controversi ed eccessi.
La confessione, in forma di musical, dell'artista Elton John, che si confronta con la propria carriera giovanile segnata da successi, affetti controversi ed eccessi.
Rocketman vuole essere, nelle intenzioni, un'autobiografia di Elton John che ne segue la vicenda facendola presentare direttamente dalle canzoni più belle dell'artista. Questo è sicuramente il pregio maggiore del film: alcune scene di ballo sono ben coreografate, con riferimenti ora alla video-art ora al musical da sobborgo, e il lavoro di arrangiamento dei pezzi di Elton ad opera di Matthew Margeson (dittico di Kingsman, 2014-2017) è molto riuscito, affiancando la voce del cantante a quella inaspettatamente duttile e piacevole di Taron Egerton.
Complici sicuramente i costumi colorati e fantasiosi di Julian Day e le scenografie di Marcus Rowland (L'alba dei morti dementi, 2004; Hot Fuzz, 2007), che danno il proprio meglio nella ricostruzione atmosferica dei luoghi giovanili di Elton. Qui però i pregi si fermano. Sembra quasi che tutti i presupposti per creare un lavoro originale, ideale incontro di musica pop e cinema, lasci appena intravedere le possibilità e diventi una sequela di occasioni mancate.
Partendo dagli aspetti meno dolenti, l'interpretazione di Egerton, per quanto si impegni e dimostri uno studio appassionato del personaggio, risulta poco carismatica e non convince. Tutti gli altri attori non lasciano il segno, a parte forse l'empatica Gemma Jones nel ruolo della nonna. Il demerito non deve essere tanto attribuito a loro, in verità, quanto alla sceneggiatura di Lee Hall (Billy Elliot, 2000; War horse, 2000). L'idea di lasciar parlare essenzialmente le canzoni, come detto sopra potenzialmente buona, si risolve in un film che dal punto di vista drammatico è totalmente assente: il personaggio di Elton non esce dal ruolo riciclato di vittima di se stesso e dei propri traumi che trova una via d'uscita, e la narrazione anche dove poteva creare un buon melodramma resta scontata e ingiustamente banale.
Manca una caratterizzazione dei personaggi secondari, ridotti a macchiette che sanno di già visto migliaia di volte, e il contesto storico e culturale (industria cinematografica cinica, sogno americano…) non presenta una minima analisi approfondita. Peccato, perché Elton John è stato protagonista di un periodo della cultura pop mondiale che avrebbe meritato più guizzi di fantasia per essere descritto. Quanto ai dialoghi, la dimensione di totale incertezza del film, che non sa mai se virare verso la commedia, il dramma o la biografia, raggiunge il suo apice: il politicamente corretto e lo scontato abbondano, soprattutto nelle scene più intime. Nel calderone di tematiche personali di Elton, si parla di omosessualità senza che sia un film di stampo queer, di tossicodipendenza senza che sia un film di sensibilizzazione, di amicizia e amore con la profondità psicologica di una teen-comedy.
Genio e sregolatezza sono, per l'Elton del film, qualità innate e senza uno sviluppo: cambiati alcuni fattori, avrebbe potuto essere un film sul giovane Mozart e nessuno se ne sarebbe accorto.
Le didascalie finali, come da stereotipo, raccontano la vita del cantante dopo la disintossicazione: ma ormai tali informazioni appaiono scollegate da tutto quanto narrato prima, ammesso che un focus di racconto ci sia effettivamente stato. Oltre a tutto ciò, buchi narrativi e personaggi che compaiono e scompaiono nel nulla assoluto abbondano.
Quanto alla regia di Dexter Fletcher (Wild Bill, 2011, e co-regia di Bohemian Rhapsody, non accreditato assieme ad Alvy Singer) questi dà proprio il suo meglio nelle già citate coreografie. Spicca in particolare quella legata alla canzone del titolo, che parte con una sequenza nell'acqua della piscina di grande impatto, e alcuni piani sequenza molto piacevoli (il ballo nel parco divertimenti, i quadretti familiari). Per il resto, non solo non dimostra particolari exploit al di sopra del livello accademico, ma si lancia in alcuni esercizi di stile non richiesti, fra cui l'abuso di slow motion e la fretta assoluta della prima parte: di primo impatto, si fatica veramente a distinguere fra l'inizio del film e i loghi animati delle case produttrici, come accade a Peter al cinema in un divertente sketch de I Griffin.
In definitiva, un film che racconta di un artista che ha rivoluzionato la musica rock e il costume mondiale avrebbe potuto essere più coraggioso e meno buonista. Soprattutto, un film che racconta di Elton John, non certo una scoperta di Sanremo Giovani, non può basarsi unicamente sugli pur ottimi momenti musicali per raggiungere la sufficienza.
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