Un modesto criminale scappato da Cuba arriva negli Stati Uniti, dove inizia una rapida scalata alle alte vette della malavita americana.
Un modesto criminale scappato da Cuba arriva negli Stati Uniti, dove inizia una rapida scalata alle alte vette della malavita americana.
Lo Scarface del 1983 è, innanzitutto, un remake di Scarface – Lo sfregiato, film del 1932 di Howard Hawks. Quest'ultimo ha contribuito a fondare il genere gangster classico, con le proprie dinamiche visive e narrative, protagonisti uomini spietati ma moralmente ancorati all'onore mafioso, con atmosfere livide e scenari urbani: stilemi che passeranno poi nel genere hard-boiled, dove il protagonista diventa il detective inesorabilmente compromesso con la malavita (Il grande sonno di Raymond Chandler è del 1939).
Il regista Brian de Palma (Carrie – lo sguardo di Satana, 1976; Gli intoccabili, 1987) e lo sceneggiatore Oliver Stone (Platoon, 1986; Assassini nati – Natural Born Killers, 1994) si ispirano liberamente alla vicenda del vecchio Tony Montana, a sua volta originariamente ripresa dalla figura storica di Al Capone, trasponendola negli anni ‘80. Non più proibizionismo, ma traffico di stupefacenti. Non più abiti scuri gessati e cappelli a fedora, ma fantasiose camicie a fiori sbottonate. Soprattutto, non più misurata sintesi del percorso tragico, ma vera e propria discesa agli inferi del protagonista, con tanto di bagni di sangue. Seguendo in ciò la lunga scia di quella rivoluzione estetica avvenuta pochi anni prima e chiamata New Hollywood. La storia mantiene lo schema rise and fall, ma il materiale e i tempi sono dilatati (170 minuti contro 90).
La regia di Brian de Palma riesce perfettamente ad alternare scene di efferata violenza, a balli di Disco Music, da scene di corteggiamento amoroso, a una rappresentazione nevrotica e schizofrenica dei personaggi.
Le tecniche di slow motion e primi piani che più volte cadono sugli occhi di Tony, come a riprendere la sua famigerata frase “Gli occhi chico non mentono mai”, vengono usate come preavviso della rabbia e della conseguente violenza che da lì a poco potrebbe scoppiare.
De Palma è un maestro della tensione e della creazione di quest'ultima, tramite un sapiente uso del movimento della macchina da presa. Basta pensare alla scena della sparatoria nel locale notturno, dove i due killer si trovavano con il compito di uccidere Tony; la macchina da presa gira a 180°: prima sui due uomini che si preparano alla sparatoria, successivamente alla scenetta d'intrattenimento del locale, e infine su Tony che rimane impassibile a osservare i due killer, questo movimento sequenziale si ripete fino al momento di “rottura” ovvero finchè gli uomini non incominciano a sparare.
Che questo film sia fra i più rappresentativi degli anni '80, lo provano anche le musiche in chiave elettroniche scritte dal più rappresentativo artista del periodo, Giorgio Moroder (compositore fra l'altro delle colonne sonore de La storia infinita, 1984 e Grazie a Dio è venerdì, 1978, che gli frutterà il primo di tre Oscar).
Quanto alle interpretazioni, è superfluo lodare Al Pacino, qui al massimo delle famigerate tecniche di immedesimazione da Actors Studio. Un metodo, basato sull'altrettanto famigerato Stanislavskij, che coinvolge completamente il corpo e la mente nella resa dei ruoli. Le battute di Tony Montana infatti, scanzonate e gergali, si accompagnano perfettamente alla mimica di uno dei personaggi più celebri della storia del cinema. Da segnalare anche l'affascinante Michelle Pfeiffer, nel ruolo che le darà notorietà mondiale, che già dalla sua prima apparizione nell'appariscente abito color smeraldo, dona al personaggio eleganza, e una bellezza tanto fragile quanto tagliente.
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