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Stanley Kubrick

Shining | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Shining
Titolo Originale:
The Shining
Regia:
Stanley Kubrick
Uscita:
22 dicembre 1980
(prima: 23/05/1980)
Lingua Originale:
en
Durata:
142 minuti
Genere:
Horror
Thriller
Soggetto:
Sceneggiatura:
Stanley Kubrick
Diane Johnson
Fotografia:
John Alcott
Montaggio:
Ray Lovejoy
Scenografia:
Musica:
Wendy Carlos
Rachel Elkind
Produzione:
Stanley Kubrick
Produzione Esecutiva:
Jan Harlan
Casa di Produzione:
Hawk Films
Peregrine
Warner Bros. Pictures
Producers Circle
Budget:
$19 milioni
Botteghino:
$44 milioni
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Redazione

9.5

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Jack Torrance
Jack Nicholson
Wendy Torrance
Shelley Duvall
Danny Torrance
Danny Lloyd
Delbert Grady
Philip Stone
Dick Hallorann
Scatman Crothers
Lloyd the Bartender
Joe Turkel
Stuart Ullman
Barry Nelson
Bill Watson
Barry Dennen
Larry Durkin
Tony Burton
Young Woman in Bath
Lia Beldam
Old Woman in Bath
Billie Gibson
Forest Ranger 1 (uncredited)
David Baxt
Forest Ranger 2 (uncredited)
Manning Redwood
Grady Daughter (uncredited)
Lisa Burns
Grady Daughter (uncredited)
Louise Burns
Nurse (uncredited)
Robin Pappas
Doctor (uncredited)
Anne Jackson
Secretary (uncredited)
Alison Coleridge
Policeman (uncredited)
Burnell Tucker
Stewardess (uncredited)
Jana Shelden

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Uno scrittore in crisi fa da custode invernale, assieme alla famiglia, in un hotel infestato da oscure presenze e misteri irrisolti.

Recensione:

Quando, nel 1980, Stanley Kubrick uscì nelle sale con un film horror, il mondo della critica gridò allo scandalo. Sembrava paradossale che il regista, autore della satira fantapolitica Il dottor Stranamore (1964) e del criptico 2001: Odissea nello Spazio (1968), si concedesse al genere più di cassetta di sempre: lo stesso pregiudizio, in pratica, che aveva perseguitato Alfred Hitchcock per anni (come notiamo nella nostra recensione de La finestra sul cortile). Shining ebbe una lavorazione difficoltosa, e ancora di più la distribuzione: al coro negativo dei critici si aggiunse, infatti, la voce dell'autore del romanzo di partenza, Stephen King. Ciononostante, il terzultimo film di Kubrick è stato alla lunga riconosciuto quale pietra miliare non solo dell'horror, ma anche del percorso autoriale del regista.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Kubrick e da Diane Johnson (Le divorce, 2003), nonostante possa in alcuni passi risultare eccessivamente lenta e astratta, riesce a coniugare al massimo livello qualitativo tutti gli stilemi del filone della “casa maledetta”: soprannaturale, storico e antropologico/psicanalitico si intervallano a visioni orrorifiche inspiegabili e perturbanti, in un gioco di giustapposizioni che, ben lungi dallo spiegare razionalmente, estraniano lo spettatore. Sono però tre le tematiche tipicamente à la Kubrick: in primis il tema del doppio, declinato in figure quali l'amico immaginario di Danny o le due gemelle (svolgono in tal senso un ruolo fondamentale le molteplici inquadrature che riprendono i protagonisti allo specchio); in secondo luogo, l'arco narrativo di discesa alla follia del protagonista, contrapposto a quello dei familiari, che si aggiungono alla lista di personaggi kubrickiani eternamente divisi fra il male estremo e il bene assoluto; infine, il ricorso all'Eterno ritorno dell'uguale.


Riprendendo il filone aperto con 2001 e proseguito con Arancia Meccanica (1971), Kubrick attinge ancora una volta alla filosofia nietzschiana per conferire alla sua pellicola un significato profondo, che va oltre il mero intrattenimento.


Il ciclico ripetersi degli eventi (nella pellicola collocati su tre distinti piani temporali, vale a dire 1921, 1970 e 1980) è ineluttabile per ogni uomo e può essere interrotto solo dal Superuomo; questi è incarnato ancora una volta da un bambino, cresciuto rispetto al Feto di 2001 (richiamato esplicitamente dalla locandina originale del film) e controparte positiva del malvagio Alex DeLarge; Danny ha lo Shining, il potere della “Luccicanza” con cui gli spettri dell'Overlook Hotel sembrano non aver fatto i conti e che renderà possibile il lieto epilogo.

Dal punto di vista registico, la mano di Kubrick si riconosce soprattutto nei piani sequenza di Danny nei corridoi, con macchina da presa ad altezza triciclo, e nei correlati piani finali nel labirinto, durante l'inseguimento. I movimenti di macchina dell'uno richiamano l'altro, mentre la fluidità dei carrelli è data, tecnicamente parlando, dalla steadicam, che segue fedelmente gli attori nei loro spostamenti, realizzando così un risultato fotografico tuttora insuperato per eleganza e capacità espressiva. Da notare come la stessa dinamica si possa trovare in un precedente film di Kubrick, Orizzonti di gloria (1957), nelle scene iniziali della trincea bellica. L'utilizzo del grandangolo, inoltre, accentua la dimensione di deformazione e amplificazione dei sensi vissuta dai personaggi. Notevoli, infine, i carrelli in zoom, estremamente rapidi sullo stesso asse. Particolarmente esaltata dall'eccezionale simmetria delle inquadrature è invece la magnifica scenografia. L'Overlook Hotel ha tutte le caratteristiche necessarie per inquietare lo spettatore: dall'austero salone in cui Jack batte a macchina, alla sala da ballo in festa; dal bagno rosso in cui mr. Torrance conversa con mr. Grady, a quello verde della stanza 237; dai lunghi corridoi percorsi in triciclo da Danny, al labirinto finale, richiamato peraltro dalla cravatta indossata da Jack durante il colloquio. Da segnalare a tale proposito come la crescente claustrofobia degli ambienti chiusi, finisca paradossalmente per esplodere proprio nel labirinto esterno, un luogo aperto, ma non per questo meno serrato.

A proposito degli aspetti tecnici del film, non si possono non menzionare ancora due caratteristiche: la prima consiste nello splendido montaggio di Ray Lovejoy, che giustapponendo visioni mute (es. l'ascensore debordante di sangue) alla realtà, ha fatto scuola nel genere horror, tanto da arrivare fino a Suspiria (2018) di Luca Guadagnino; la seconda risiede invece nelle musiche. Come in ogni pellicola dell'orrore anche in Shining la musica riveste un importante peso specifico e ogni traccia regge egregiamente l'evolversi della tensione narrativa, sebbene armonicamente possa non risultare particolarmente eccelsa.

Prima di poter concludere, è necessario però evidenziare la straordinaria interpretazione dell'intero cast. Ogni attore, spinto all'estremo da Kubrick, risulta assolutamente perfetto per il suo ruolo. L'espressività di Jack Nicholson in Shining è superba; la capacità di mutare radicalmente quanto istantaneamente l'aspetto visivo del suo personaggio è senza eguali. Grazie a questa abilità di Nicholson, lo spettatore riesce intimamente a cogliere la degenerazione della psiche di Torrance, prima ancora che questa avvenga; nelle scene di follia poi, è insuperabile. Se però il regista nutriva profondo rispetto nei confronti di Jack Nicholson, non si può dire altrettanto per la povera Shelley Duvall. L'attrice sul set veniva continuamente presa di mira da Kubrick, che non perdeva occasione per denigrarla, rimproverarla e metterla in ridicolo davanti a tutti, al puro scopo di incrementare l'insicurezza del suo personaggio. A dispetto delle polemiche scaturite da questo rigido metodo di lavoro, dal punto di vista cinematografico – ed è questa la cosa che più ci preme in questa sede – il risultato è stato un successo; Wendy Torrance è confusa, insicura e terrorizzata dal marito e le scene in cui, disperata, è armata di mazza da baseball e coltello sono probabilmente le migliori della sua carriera.

A cura di Michele Piatti e Mattia Liberatore.
Pubblicato il 26 ottobre 2019.

Pro:

  • Le interpretazioni di Jack Nicholson e Shelley Duvall.
  • La maniacale cura dell'estetica.

Contro:

  • Sceneggiatura talvolta troppo lenta e astratta.
  • Musiche giuste, anche se armonicamente non indimenticabili.

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