Dopo la grande perdita il mondo si interroga su chi possa essere il degno successore. Nel frattempo Spider-Man è alle prese con un avversario tra realtà ed illusione.
Dopo la grande perdita il mondo si interroga su chi possa essere il degno successore. Nel frattempo Spider-Man è alle prese con un avversario tra realtà ed illusione.
Dopo il campione d’incassi Avengers: Endgame (2019), la Marvel riporta sul grande schermo, dopo il primo capitolo Spiderman: Homecoming (2017), uno dei supereroi più amati, per un film che chiude definitivamente la terza fase dell’MCU, iniziata nel 2016 con Captain America: Civil War.
Peter Parker deve affrontare il grande vuoto emotivo causato dalla perdita di quella che si può definire a tutti gli effetti la sua unica figura paterna, il miliardario, filantropo, playboy (e salvatore del mondo intero) Tony Stark; ma allo stesso tempo cerca di riadattarsi a un mondo post “blip”, e lo fa con tutti i disagi e le insicurezze tipiche della sua età. È doveroso ricordare infatti che Spiderman, o come lo chiamava qualcuno il bimbo ragno, ha appena sedici anni, nel pieno dell’adolescenza e nei vari scompensi ormonali ed emotivi.
Ed è proprio questo disagio adolescenziale che accompagna la prima parte del film, che prende i tratti da teen comedy e abbandona per qualche minuto quelli da comic movie, facendoci assaporare un po’ di quella sbadataggine e goffaggine tipiche del Peter Parker di Sam Raimi.
Basta pensare al tenero bacio tra Mj e Peter, impacciato e un po’ imbarazzante, proprio come un primo bacio dovrebbe essere, e senza troppe coreografie e teatralità, portando sullo schermo quella veridicità umana e delicata che spesso manca nei cinecomic.
La seconda parte del film ci regala invece una delle scene di combattimento più belle di questo universo cinematografico, con effetti visivi, neanche a dirlo, perfetti.
Il dualismo tra realtà e funzione, la voce ipnotica di Mysterio che echeggia in questa dimensione spaventosa e che assume connotazioni quasi oniriche, in cui il giovane eroe non può fare altro che perdersi e uscirne gravemente ferito.
Da apprezzare anche i vari richiami ai film precedenti, dalla canzone Highway To Hell, passando da uno (scarso) tentativo di imitazione dello sport olimpico “lancio dello scudo”, di cui Cap rimane ancora il campione imbattuto, fino alla comparsa di J.K. Simmons che riprende il suo ruolo del giornalista hater per antonomasia di Spiderman.
Grande assente della serata: un’epica colonna sonora che contraddistingue da più di un decennio i film dei supereroi; l’iconico main theme di Spiderman, entrato ormai nella cultura pop, è stato snobbato per un reprise riarrangiato, in modo non così tanto originale, del tema degli Avengers.
L’assemble del cast funziona alla perfezione, in primis la chimica tra MJ e Peter, ma anche quella tra Peter e Mysterio, personaggio che ci regala un Jake Gyllenhaal, villan infame ma divertente e anche un po’ drama queen. D’intrattenimento anche, per quanto inverosimile, le dinamiche della classe di ragazzi adolescenti in gita scolastica.
La regia di Jon Watts, regista anche del prequel Spiderman: Homecoming, come il capitolo precedente, non si contraddistingue per particolari tecnicismi dietro la macchina da presa, ma si limita piuttosto a un lavoro accademico, che gioca molto sulle acrobazie del supereroe che si sposta da una parte all’altra della città, come si è potuto osservare in particolare nella seconda scena dopo i titoli di coda.
Alla fine della proiezione però, ci si chiede cosa effettivamente rappresenti la pellicola all’interno della MCU, inizialmente promossa come “ultimo grande tassello mancante dopo Infinity War ed Endgame” quando, molto semplicemente, il film funziona proprio perchè si lascia alle spalle tutte le ingombranti eredità dei personaggi passati, dando ad alcuni protagonisti una meritata pensione.
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