Un manipolo di pericolosi criminali viene chiamato per costituire una squadra speciale, pronta anche alla morte, al servizio della giustizia.
Un manipolo di pericolosi criminali viene chiamato per costituire una squadra speciale, pronta anche alla morte, al servizio della giustizia.
Suicide squad, in sintesi, è la storia di un doppio fallimento. Doppio in virtù non solo del risultato effettivo, che lascia a desiderare, ma anche delle tante potenzialità letteralmente sprecate. Warner e DC, nel tentativo di creare un prodotto, e una narrazione valoriale, distinguibile da quella ormai canonica e pervasiva del Marvel Cinematic Universe, avevano una inestimabile quantità di spunti, fonti letterarie da graphic-novel e precedenti cinematografici cui attingere: più che ribaltare l'idea stereotipa di cinecomic e supereroe, tuttavia, sono riusciti solo a far ribaltare lo spettatore dalla poltrona. Il soggetto, dal fumetto di John Ostrander, di per sé sarebbe interessante: un racconto collettivo e quasi picaresco al limite fra senso della giustizia e contraddizione, anti-eroismo e riscrittura distopica del mondo narrativo in questione. Tuttavia, quasi ogni comparto del film riesce puntualmente a disattendere quanto di buono poteva esservi in partenza.
Il difetto più macroscopico, al limite del parodistico involontario, sta nella sceneggiatura: scritta dal regista David Ayer (Fury, 2014; Bright, 2017), si sviluppa come una giustapposizione caotica e infelice di colpi di scena, entrate impreviste, troppi personaggi con troppa poca introspezione. Persino gli stereotipi contro cui teoricamente muove il film finiscono per tornare, e appesantire ulteriormente quella che, più che storia, è una galleria da luna-park grottesca e noiosa. Le imperfezioni di scrittura dei personaggi ricadono, forzatamente, sulle loro rese a livello interpretativo: si salva forse, ma solo per l'estremo carisma, Margot Robbie alla cui Harley Quinn, giustamente se pur con risultati discutibili, è stato dedicato il recente Birds of prey (2020). Will Smith risulta invece irretito come poche altre volte nella propria carriera, mentre l'esempio più tragico di scollamento fra l'impegno dell'attore e la trascuratezza della scrittura si ha con il Joker di Jared Leto: ricordato sui social come il “villan tamarro”, di questa versione del cattivo per eccellenza di Gotham City si ricorderanno soltanto l'ispirazione esplicita ad Al Pacino in Scarface (1983) e il commovente tentativo dell'interprete di salvare un personaggio condannato, fin dalla sceneggiatura, al fallimento.
Se il comparto narrativo sbaglia qualsiasi colpo, passando dalla sconclusionatezza al pietismo di assoluta banalità , pure quello visivo non è da meno.
Il montaggio di John Gilroy (Pacific Rim, 2013; Rogue One, 2016) soffre visibilmente dell'assenza di materiale quantomeno accettabile su cui lavorare. La fotografia di Roman Vasyanov, incerta se perseguire uno stile realistico o iperrealistico, se valorizzare la descrizione o la resa atmosferica, si riduce a qualcosa di molto simile a certe color correction da filtro Instagram: un vero peccato, perché l'intento di creare un repertorio visivo volutamente insolito si nota, ma viene totalmente sepolto dalla complessiva mancanza di coerenza.
A salvare, parzialmente, l'estetica del film (in quanto la sostanza è irrecuperabile), subentrano il trucco di Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christopher Nelson, premiati con un Oscar nel 2017, e i costumi di Kate Hawley, i quali almeno manifestano un certo intento di coerenza. Gli effetti speciali sono invece imbarazzanti ed esplicano al meglio la grande contraddizione di questo film: un prodotto commerciale con pretese di originalità, senza essere innovativo, e allo stesso tempo un film amatoriale con pretese da kolossal, senza averne nemmeno l'accuratezza tecnica. Warner e Dc hanno dimostrato di recente, con Joker (2019), che non solo è possibile creare universi distanti da quello Marvel, ma è anche auspicabile qualora la maestria, l'innovazione e il coraggio produttivo vadano di pari passo. Suicide squad resta un esperimento sgraziato, contradditorio e rinnegato dagli stessi realizzatori: un passo falso di cui sarebbe meglio dimenticarsi, se non fosse per la prova attoriale di una Margot Robbie all'inizio del proprio periodo d'oro in quanto interprete sorprendente ed eclettica (si veda C'era una volta… a Hollywood, 2019).
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