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Martin Scorsese

Taxi Driver | Recensione | Unpolitical Reviews

Scheda:

poster di Taxi Driver
Titolo Originale:
Taxi Driver
Regia:
Martin Scorsese
Uscita:
27 agosto 1976
(prima: 9/02/1976)
Lingua Originale:
en
Durata:
113 minuti
Genere:
Crime
Dramma
Soggetto:
Sceneggiatura:
Paul Schrader
Fotografia:
Michael Chapman
Montaggio:
Tom Rolf
Melvin Shapiro
Scenografia:
Herbert F. Mulligan
Musica:
Bernard Herrmann
Produzione:
Julia Phillips
Michael Phillips
Produzione Esecutiva:
Casa di Produzione:
Italo/Judeo Productions
Bill/Phillips
Columbia Pictures
Budget:
$1 milioni
Botteghino:
$28 milioni
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Redazione

9+

Pubblico

Redazione
Pubblico

Cast:

Travis Bickle
Robert De Niro
Iris Steensma
Jodie Foster
Tom
Albert Brooks
Sport Higgins
Harvey Keitel
Senator Charles Palantine
Leonard Harris
Wizard
Peter Boyle
Betsy
Cybill Shepherd
Concession Girl
Diahnne Abbott
Angry Black Man
Frank Adu
Melio
Victor Argo
Policeman at Rally
Gino Ardito
Iris' Friend
Garth Avery
Cabbie in Bellmore
Harry Cohn
Hooker in Cab
Cooper Cunningham
Soap Opera Woman
Brenda Dickson
Dispatcher
Harry Fischler
Stick-Up Man
Nat Grant
Tall Secret Service Man
Richard Higgs
Soap Opera Man
Beau Kayser
Secret Service Photographer
Victor Magnotta

Trama:

Anticipazione

Trama Completa

Affetto da insonnia, il ventiseienne Travis Bickler decide di iniziare a lavorare come tassista notturno nelle strade di New York.

Recensione:

Considerato dalla critica come il primo capolavoro del regista Martin Scorsese, Taxi Driver riesce a coniugare scene di pura violenza a una delicata e sottile rappresentazione di disagio sociale e malattia mentale. È fra i massimi capolavori della New Hollywood, corrente che rivoluzionò i canoni cinematografici classici vigenti e ormai troppo sorpassati: la violenza, il sesso e la morte sono rappresentati senza remore, facendone elementi poetici veri e propri. La violenza nel cinema di quel periodo è specchio delle tensioni che sconvolgono il mondo, dalle speranze di rivoluzione hippy alla guerra in Vietnam. Lo stesso protagonista del film è un uomo diviso che compiendo una scelta tenta di ristabilire una nuova morale.

La colonna sonora di Bernad Herrmann (Psyco) regala alla pellicola quel sapore noir tipico dei lavori di Alfred Hitchcock, con il quale era solito lavorare, e sottolinea la mentalità di Travis, tanto complessa quanto fragile, conferendo all'interpretazione di De Niro un'aggiuntiva psicolabilità.

Al contrario dei film hitchcockiani la pellicola di Scorsese, per accentuare le emozioni instabili del suo protagonista, può giocare con i colori, in gran parte regalati dalle luci della New York notturna. Questo utilizzo psicologico di luci è particolarmente rilevante nella primissima scena, in cui scorrono i titoli di testa, sul volto di Travis vediamo varie sfumature di rosso, colore che rappresenta la rabbia e l'amore, e scorrono anche in modo confusionario riprese sfuocate della città vista dal parabrezza del taxi, come a voler farci capire lo stato mentale del protagonista, la sua natura sensibile e precaria.

La regia, volutamente sporca, si rifà alla nouvelle vague, ma riuscendo comunque a tenere costanza e solidità nelle proprie scelte stilistiche. Alcune inquadrature, fra cui le panoramiche della città con la macchina da presa che simula la soggettiva della macchina stessa, sono diventate un vero marchio di fabbrica. Vi è di certo una continuità fra questo film di Scorsese e il precedente Mean Streets, ambientato nei bassifondi italoamericani newyorkesi.

Lo sceneggiatore Paul Schrader afferma di essersi ispirato ad alcune opere letterarie europee come La Nausea di Jean Paul Sartre e Memorie dal sottosuolo di Fedor Dostoevkjii dove il tema della critica sociale, della sporcizia, dell'irrazionalità e la complessità umana sono i veri e propri protagonisti, in queste opere così come nel film.

In particolare, la critica alla società contemporanea, che ricordiamo essere quella degli anni Settanta, connotata dal desiderio di rivoluzione e libertà, si intreccia con l'instabilità della psiche umane creando una sorta di giustiziere moderno che, per far valere i propri principi di giustizia in un mondo vizioso, è costretto a ricorrere a un'efferata violenza interpretato da un De Niro in stato di grazia.

Il metodo di De Niro, che proviene direttamente dagli Actor's Studios di impostazione stanivlanskiana, gli consente una perfetta identificazione con il protagonista scisso ma moralmente determinato: mimica e gestualità che hanno il proprio culmine nella celebre scena dello specchio, fra le più famose della storia del cinema. Jodie Foster, allora nemmeno maggiorenne, è invece l'ideale di innocenza che rischia la corruzione del contesto circostante: la sua presenza, silenziosa e incisiva, è diventata iconica.

Gli unici aspetti probabilmente non all'altezza con il resto del reparto artistico e tecnico risultano essere un make up dal quale ci si aspetta una valorizzazione più accentuata dello stato di psicosi ed insonnia di De Niro, ed alcune pretese di regia che possono compromettere talvolta le scelte di montaggio a causa della politica autoriale del periodo in cui è stato girato il film.


Taxi Driver si è imposto nel tempo non solo come film cult ma come film maestro, che ha ispirato e continua a ispirare e che riesce a essere amato anche nei giorni nostri, dimostrando che anche gli eroi urbani possono avere una complessità mentale e tratti psicologici al limite della sanità e regalando un perfetto ritratto degli Stati Uniti d'America di quegli anni, senza romantizzarli o idolatrarli.


Possiamo considerare quindi Taxi Driver come un quadro di violenta sincerità che sotto la sua superficie di critica sociale nasconde una buia realtà sulla precarietà dell'essere umano.

A cura di Linda Giulio e Michele Piatti.
Pubblicato il 9 maggio 2019.

Pro:

  • Regia artistica e tecnicamente notevole.
  • De Niro e cast impeccabili.
  • Soggetto e sceneggiatura complessi e ben strutturati.

Contro:

  • Make up non perfetto.
  • Regia con una politica autoriale legata ad un limitato periodo storico.

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