Adattamento cinematografico dell'omonima pièce teatrale, The Father segue le vicende di Anthony, malato di demenza senile.
Adattamento cinematografico dell'omonima pièce teatrale, The Father segue le vicende di Anthony, malato di demenza senile.
The Father è, prima di tutto, un'immersione nella terribile malattia del protagonista, la demenza senile, che non si limita però solo al malato stesso. Il rapporto con le figlie, la sensazione di colpa e di tristezza di cui Anne non sembra riuscire a liberarsi, il deterioramento mentale che porta confusione non solo alla famiglia, ma anche allo spettatore, che difficilmente riesce a uscire dalla dimensione narrativa ed emotiva della pellicola.
Proprio come il naturale procedere della malattia, la confusione viene introdotta prima a piccole dosi, poi in modo sempre più disorientante e affliggente; il punto di forza della sceneggiatura, però, è proprio riuscire a rendere capibile la narrazione, malgrado il susseguirsi labirintico di personaggi, parole e sequenze.
In questi complessi intrecci mentali e rappresentativi, la regia di Florian Zeller si mantiene pulita e semplice; anche se a tratti potrebbe risultare eccessivamente piatta, rispecchia bene la dimensione teatrale nella quale l'opera è nata, come se stessimo assistendo a una scena sul palco e non dietro a una macchina da presa.
Anthony Hopkins, con la sua mastodontica interpretazione, rende la visione talmente intensa che i tempi della pellicola vengono percepiti dallo spettatore in modo ancora più dilatato.
Come alberi che perdono le foglie, Hopkins abbandona man mano la sanità mentale fino a esplodere nella scena finale in cui la malattia sembra per qualche minuto andarsene, spogliandolo di ogni dignità, ci fa vedere quel che resta di quest'uomo malato: un bambino spaventato che non riesce più a riconoscere il mondo in cui vive.
La performance di Olivia Colman tiene testa alle capacità di Hopkins, riuscendo a interpretare il lutto più difficile di tutti: la morte di una persona che è ancora in vita.
L'immedesimazione dello spettatore nella malattia dell'uomo è riuscita anche grazie a due espedienti: in primis, la scelta di far effettivamente vedere attori diversi nello stesso ruolo e la scelta di svolgere l'intera narrazione in spazi chiusi, l'appartamento, lo studio della dottoressa, la casa di riposo.
Spazi chiusi in cui Anthony non riesce a orientarsi, non riesce a guarire, a riconoscere e nemmeno a superare nuovamente il lutto della figlia.
Una prigione, un labirinto al quale è costretto a vagare fino alla fine dei suoi giorni. Significativa è proprio l'inquadratura finale dell'albero, una scena all'aria aperta, che perfettamente conclude la narrazione.
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